Il Caffè alla Dea Minerva detto del Menegazzo, in Campo San Zulian, nel Sestiere di San Marco
Il caffè situato a metà strada della Merceria di San Giuliano, vicino a San Marco, era detto di Menegazzo; corruzione popolare, del nome di colui che lo aveva aperto: Domenico (Menego).
Vi si poteva entrare così dalla Merceria come dal campiello di San Giuliano: e l’insegna l’aveva consacrato “Alla Dea Minerva“, o meglio sconsacrato, vista la scena poco edificante che rappresentava, descritta in versi veneziani da un pittoresco e saporosissimo autore, l’abate Angelo Maria Barbaro, figlio naturale di un patrizio, completamente sordo e chiamato perciò “il sordo dell’Adria“; né si capisce bene come riuscisse a infervorare le conversazioni altrui con i suoi interventi.
Il caffè era un covo letterario iconoclasta; basti ricordare che ai suoi tavoli presero l’abitudine di ritrovarsi gli accademici Granelleschi, con i testa i Farsetti e Carlo e Gasparo Gozzi. Ma il pubblico dei frequentatori era vasto ed eterogeneo e accanto a letterati autentici e di fama, si ficcavano i letteratoidi e gli orecchianti, senza pregiudizio, naturalmente, delle solite compagnie di giocatori.
Nell’Ottocento il Caffè di Menegazzo mutò dapprima l’insegna e del nome, finché quello originale andò del tutto perduto; mutò parecchie volte il tipo di clientela, ma la tradizione letteraria non vi si interruppe mai, e scrittori fissi o di passaggio ne ebbe in permanenza nei suoi tavoli. (1)
(1) GINO DAMERINI in Caffè letterari. Canesi Editore 1962
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