La famiglia e il palazzo Lion in contrada di San Giovanni Grisostomo, nel Sestiere di Cannaregio
Nel 1201 venivano i Lion da Acri di Soria nella città di San Marco. Accorti commercianti in tessuti e spezia portavano con loro grandi ricchezze e, come narra una vecchia tradizione, prima di entrar nella laguna mandarono alla Signoria un messaggero con cinquantamila ducati per la chiesa di San Marco, chiedendo la promessa di essere eletti del Maggior Consiglio. Era allora doge Piero Gradenigo il quale sorridendo promise, e la galera dei Lion, che si era fermata al porto di San Nicoletto del Lido, riprese la rotta verso l’isola di San Giorgio Maggiore gettando l’ancora dirimpetto ai cantieri di “Terra Nova“. Ben presto la nuova famiglia strinse amicizie e parentele coi più autorevoli patrizi della Dominante, fece costruire a San Giovanni Grisostomo sul Canal Grande un superbo palazzo a due piani di stile veneto bizantino, dette feste e banchetti quando fu eletta dal Consiglio e volle aver tomba nella cappella di San Francesco alla “Ca’ Granda“, la famosa chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari.
Nicolò Lion fu il primo a scoprire nel 1355 la congiura del doge Marin Falier, congiura condotta, con tanta segretezza da sfuggire alla attiva vigilanza del Consiglio dei Dieci: egli informò subito il patrizio Giovanni Gradenigo, capo dei Dieci, che immediatamente convocò il Consiglio nel monastero di San Salvatore e nella stessa notte in gran segreto si trovarono riuniti nel palazzo Ducale il Consiglio Minore, gli Avogadori, la Quarantia criminale, i Signori di notte, i Capi dei sestieri e i Cinque Savi alla pace. La discussione fu breve, le prove e le testimonianze non lasciavano dubbi, gli arresti furono immediati e così sventata la congiura parecchi colpevoli vennero impiccati, il doge decapitato, e Nicolò Lion, quale compenso al suo amor di patria, fu creato procuratore e cavaliere di San Marco.
Però di quando in quando certe stravaganze apparivano nei patrizi di casa Lion erano buoni e generosi ma qualche volta bizzarri e cervellotici, come sier Nicolò che affetto da una grave malattia e non volendo medici a curarlo, una notte si mise a gridare di voler della lattuga e mandò i servi a correre per Venezia alla ricerca della insalata. La trovarono soltanto nell’orto dei Minori Conventuali dei Frari, e narrano alcuni scrittori che con quella singolare medicina, ripetuta per qualche giorno guarisse dalla malattia, e per gratitudine faceva allora erigere all’orto una piccola chiesa chiamata “San Nicoletto della Lattuga” e un breve convento dandone il possesso ai padri di Santa Maria Gloriosa.
Un altro originale di quella famiglia era il giovane Vido Lion, pronipote di ser Nicolò, che contrasse matrimonio con Francesca Morosini della contrada dei Santi Apostoli, ma dopo qualche mese senza alcuna seria ragione, la scacciò di casa e tolse per nuova compagna Agnese Coco da cui ebbe due figli che vennero dal Maggior Consiglio esclusi dalla nobiltà perché illegittimi.
Marco Barbaro, che scrisse la genealogia delle famiglie veneziane, racconta che la discordia tra Vido e Francesca cominciò fil dalla prima sera degli sponsali, quando il marito le ordinò di toglierli le calze e la moglie rispose: “Li Morosini non discalzano Lioni!“. Da quella sera furono tra i coniugi dissidi e litigi ai quali nuova esca portava quasi giornalmente il prepotente marito.
Nel 1542 agli uomini stravaganti della famiglia Lion si aggiunse una ben triste vergogna: Maffeo Lion, figlio “de sier Lodovico Avogador di Comun” ed egli stesso Savio di Terraferma, veniva scoperto reo di alto tradimento. Sier Maffeo riceveva dal re di Francia, allora Francesco primo, una forte somma mensile per informare l’ambasciatore francese, Guglielmo Pellieier, delle segrete decisioni della Repubblica. Al tradimento parteciparono anche i due fratelli Costantino e Nicolò Cavazza, il primo segretario dei Dieci, l’altro del Senato, e un tale Agostino Abondio la cui moglie era l’amante di certo Girolamo Martolosso. Il Consiglio dei Dieci, sicuro da qualche fatto che qualcuno tradiva, pubblicava il 17 agosto 1542 un bando col quale si davano tremila ducati a chi avesse fatto conoscere i nomi dei traditori e il Martolosso, che tutto sapeva dall’amante, per cupidigia dell’oro, si affrettò a denunciare i colpevoli. L’Abondio e Nicolò Cavazza furono impiccati, Costantino Cavazza e Maffeo Lion si salvarono con la fuga ma vennero banditi con grossa taglia e in caso di arresto condannati a morte.
Il magnifico palazzo a San Giovanni Grisostomo proprietà dei Lion venne minacciato di completa distruzione per ordine del Consiglio, ma poi si demolì solo la proprietà di Maffeo salvando la parte del fratello, che ancora oggi si ammira per il lusso decorativo, proprio delle case veneziane del tredicesimo secolo. La famiglia Lion si estinse nei primi anni del Settecento, ma dopo la condanna di Maffeo visse sempre appartata dalle pubbliche faccende. (1)
(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 4 giugno 1933.
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