I figli bastardi del doge Gritti

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Bottega del Tiziano. Il doge Andrea Gritti Art Institute of Chicago (foto dalla rete)

I figli bastardi del doge Gritti

Il serenissimo Andrea Gritti, uno dei più celebri dogi veneziani, aveva quattro figli illegittimi, nati quando era bailo a Costantinopoli da una sua amante greca, e chiamati Pietro, Alvise, Lorenzo e Giorgio, ugualmente protetti ed educati dal padre che aveva dato loro il proprio nome sebbene per legge non inscritti nel Libro d’oro “perché non nasciudi de legitimo matrimonio“.

Però tra i quattro figli, Lorenzo era il prediletto e quando sier Andrea venne fatto doge di Venezia, e ciò accadeva il 20 maggio 1523, Lorenzo andò ad abitare con il padre in Palazzo Ducale e dopo qualche anno sposava Maria Marta Gonella figlia di Marco che aveva palazzo a San Giobbe, “bon citadin qual ha dà in dote a la fiola doi milia ducati d’oro et cinquecento di robe“. Lorenzo continuò ad abitare con la moglie in Palazzo, avevano cure figliali per il vecchio doge e gli furono di molto conforto quando l’altro figlio Giorgio, “priore di l’ospedal di santo Antonio“, venne colpito dalla severità delle leggi.

Il 2 febbraio 1527 era scomparsa dal convento della Celestia senza lasciare traccia alcuna, una giovane monaca, la patrizia Cecilia Bragadin, “fiola di sier Aurelio Bragadin quondam sier Pelegrin di la contrà di Santa Agnese“.

Il padre presentò denunzia al Consiglio dei Dieci e al patriarca Girolamo Querini, e tanto i fanti del Consiglio quanto quelli del patriarcato si dettero d’attorno per investigare e possibilmente scoprire dove si fosse rifugiata la monaca. Dopo molte ricerche si seppe che suor Cecilia stava in casa “de domino Zorzi Griti, fiol natural dil Serenissimo qual habitava a san Francesco de la Vigna“, ma nessuno osava intervenire per un certo riguardo verso il padre.

Il doge Andrea inteso lo scandalo chiamò l’avogador Zuane Contarini e sier Andrea Mudazzo capo dei Dieci ordinando loro che la legge avesse il suo corso senza preoccupazione delle persone “sia che esser si voglia” poiché la giustizia di San Marco doveva essere al di sopra di tutti serena, incorrotta, severa.

Il 6 febbraio venne arrestata suora Cecilia insieme al priore Giorgio Gritti nella loro casa a San Francesco; quella di ordine del patriarca “messa in deposito in convento di Santa Anna, la qual domino Querini la punirà“, e il priore, d’ordine del Consiglio dei Dieci “menato in la preson Nova” in attesa del processo. E il processo venne ma dopo tre mesi perché così volle il doge e Giorgio Gritti fu condannato “a pagar ducati trecento a la cassa di L’Arsenal, fo bandito di la terra per octo anni et privayo de li ordini di prete“.

Il padre sofferse molto, ma di temperamento autorevole, di volontà ferrea e rigido osservatore delle leggi, si dice che una sola volta per qualche istante pensando al figlio “habia pianto cum el fiol Lorenzo qual li deva conforto“.

Giorgio Gritti lasciò Venezia il 15 aprile e con la galera mercantile “San Teodoro” si diresse verso Costantinopoli dove da parecchi anni viveva suo fratello Alvise che aveva saputo con l’intelligenza e il valore cattivarsi l’affetto e la protezione di Solimano, imperatore del Turchi, tanto da divenire quasi l’arbitro delle decisioni imperiali. Solimano lo aveva condotto all’assedio di Vienna e in premio dei suoi consigli e della sua audacia “li havia donato peze doimila de zambeloti“, nella guerra d’Ungheria lo aveva creato principe ungherese e quando giunse Giorgio a Costantinopoli, Alvise era ricco, onorato e temuto. (*)

I due fratelli però dopo breve tempo non andarono d’accordo, erano troppo discordi per carattere, per energie, per vedute e dopo qualche anno Giorgio, partiva per la Palestina e di lui non si seppe più nulla.

Alvise, eletto dal Sultano governatore dell’Ungheria, ebbe il torto di far uccidere il vescovo di Varadino nel 1535 quale sospetto d’intrighi politici, ma gli ungheresi ribellatisi lo fecero prigioniero e lo decapitarono insieme con i figli, uno dei quali era arcivescovo di Strigonia.

Il 17 dicembre 1538, nella tarda età di ottantaquattro anni, moriva il doge Andrea Gritti, dopo un regno glorioso, e al suo capezzale non c’era che il figlio Lorenzo, poiché il figlio Pietro, da quasi nessuna storia ricordato, era morto ancor giovane nell’isola di Candia. (1)

(*) Il quartiere Beyoğlu di Istanbul, nella parte europea della città,  deriverebbe da Bey Oğlu, letteralmente figlio del principe. Il titolo, secondo l’ipotesi più diffusa, si riferisce proprio ad Alvise Gritti, il quale aveva la sua casa privata nei pressi dell’attuale Piazza Taksim, e che ogni volta che passava per Pera lo chiamavano Beyoğlu, il figlio del principe o del doge.  (2)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 7 maggio 1930

(2) https://it.wikipedia.org/wiki/Beyo%C4%9Flu

FOTO: dalla rete. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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