La Spadaria e la Corazzaria (ora Calle Larga San Marco)
Sono due calli antichissime e adiacenti, vicine alla Piazza di San Marco: la Spadaria dove si trovavano nei vecchi tempi le famose e rinomate botteghe degli armaioli, poi centro di argenterie e di cesellatori; la Corazzaria dalle numerose botteghe di corazze e armature, oggi chiamata Calle larga San Marco.
La Spadaria conserva anche attualmente la sua vecchia forma, mentre la Corazzaria venne allargata nel 1545 su progetto di Jacopo Sansovino, “proto” della Signoria, e fu in quella occasione, narra la cronaca Barbo, che si demoliva la casa che la ostruiva verso la Marzaria dell’Orologio.
L’arte fabbrile era quella piu in voga dopo l’arte degli orafi e dei fonditori e come dice il capitolare del 1271 si divideva in “Spaderi, corazzeri, frezzeri e corteleri” e in fabbri propriamente detti le cui officine diedero il nome a parrecchie strade della città: l’arte si raccoglieva in Chiesa San Giuliano vulgo San Zulian, nella quale aveva altare proprio, ma i soli spadari “et li corazzieri” avevano una loro arca verso la parte destra della chiesa presso il primo altare che alberga oggi la pala “Cristo morto sostenuto da Angeli e Santi” tale di Paolo Veronese attualmente deperita e alterata nei toni per i vari inconsulti restauri.
Nella calle degli spadai o Spadaria si fabbricavano le armi offensive da punta e da taglio, ma quasi a compenso nella vicina calle della Corazzaria venivano costruite le armi difensive, poichè i veneziani, sebbene fossero un popolo dato agli affari, alla navigazione, alla mercanzia, erano forse nel secolo decimoterzo uno dei popolo più bellicosi d’Italia, ma se teneva a combattere e vincere non negligeva però con ogni cura la difesa della persona.
Ed erano fiorenti in quell’epoca le tante botteghe che invadevano la Spadaria e la Corazzaria e dalle botteghe degli armaioli e dei fabbricanti di corazze uscivano elmi, scudi, caschetti e morioni ageminati, lancie e partigiane cesellate e damaschinate, spade e daghe fiorite di fregi sulla lama e sull’elsa, misericordie e pugnali con i manici d’avorio incrostati di gemme, armature con rilievo a bulino su fondi abbassati con l’acquaforte, celate con ornati di bronzo dorato. Oggi, a ricordo di quei tempoi, in cui l’arte trovava lieta e squisita accoglienza anche nelle armi da battaglia, si conservano nell’Armeria Reale di Torino quattro celate veneziane: tre di ferro brozato dai superbi rilievi, e una coperta di velluto cremisi con ornati di bronzo e con lo stemma in oro di Lorenzo Tiepolo eletto doge nel 1268; oggi a testimonio di quei tempi, sono le sale d’armi del Consiglio dei Dieci, antico deposito d’armi per provvedere nei momenti di pericolo alla difesa armata dello Stato, una tra le più ricche collezioni, costituita da oltre duemila armi, fino a noi pervenuta nonostante le devastazioni del governo democratico succeduto alla caduta della Repubblica.
Sul muro all’ingresso della Spadaria, dalla parte della così detta Calle Larga San Marco, c’è ancora scolpito lo stamma dell’arte degli spadai: un leone di San Marco con sotto tre spade e fu messo, narra la tradizione nel 1379 da un ricco fabbricante di spade, tale Francesco Spader, che aveva bottega nella calle all’insegna di San Teodoro, gastaldo della scuola “de li spaderi” e grande patriotta la cui offerta per la guerra di Chioggia contro i Genovesi era stata di quattromila ducati.
Nel 1574 tra le innumerevoli barche che accompagnarono dall’Isola di Murano a Venezia, Enrico II di Francia, narrano le cronache che furono famosi i due barconi “de li spaderi e de li corazzeri“, la prima addobata a “cuori d’oro“, e grandi trofei di spade intrecciate con piccole bandiere turchesche, la seconda tutta velluti e tappeti con armature e corazze ageminate pareva una pagoda orientale, e in ambedue i remiganti erano sontuosamente vestiti di seta e di raso dai colori vivaci.
In un Diario del Cicogna, manoscritto nel nostro Civico Museo, si racconta come essendovi nel selciato della Spaderia una pietra con sopra scolpite quattro palle da gioco, era sorto il malvezzo, nella seconda metà del Settecento, di mandare qualcuno dal bottegaio di fronte alla pietra per farsi dare le quattro palle pattuite. Il povero corbellato faceva l’ambasciata e il bottegaio chiamati a raccolta i vicini, tra le risa e gli scherni, mostrava le quattro palle scolpite rispondendogli di portarle pur via, l’altro capiva e se ne andava confuso ma, sebbene raramente, pure accadeva il caso di una baruffa a parole ed a pugni. A togliere tali burle venne rimossa la pietra e nella Spaderia ritornò la tranquillità e la quiete nel fecondo lavoro di cesello e di orafo. (1)
(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 5 gennaio 1933
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