Sier Marco Michiel della contrada dei Miracoli, un patrizio sodomita e assassino
Scrive il Sanudo, nei suoi Diari, che il giorno 25 gennaio 1518 ricorrenza di San Paolo detto dei teramoti perchè in questo giorno, nel 1311, vi fu in città un grandissimo terremoto, un uomo vestito in maschera da schiavone aggredì, con un’arma bianca corta e larga detta cazona, sier Vincenzo Molin, suo fratello sier Girolamo Molin e il loro zerman (cugino di primo grado) sier Domenico Molin. I tre erano vicini alla chiesa di San Zulian, e venivano dal Palazzo Ducale per andavano a disnar (pranzare).
Il primo ferito dall’aggressore fu sier Domenico, sier Vincenzo cercò di fuggire ma cadde e venne colpito con un micidiale colpo alla testa, sier Girolamo corse a chiedere aiuto ai suoi domestici, che arrivarono con spade e bastoni, ma lo schiavone si difese virilmente e poi scappò verso le case Morosini in Calle del Paradiso, qui entrò nella casa di un tentor (tintore) e scomparve.
Per setacciare le case di Calle del Paradiso intervennero sier Andrea Molin, e sier Andrea Morosini assieme ai capitani e agli ufficiali, ma non lo trovarono, era fuggito come un daino di casa in casa. Intervennero a sorpresa anche due fratelli di ca’ Michiel, sier Marin e sier Nicolò, che abitavano ai Miracoli, i quali dissero ai capitani che il fuggitivo era il loro fratello sier Marco Michiel.
Alle ore ventitrè dello stesso giorno dell’aggressione venne quindi pubblicata una parte presa dal Collegio che diceva: “Da parte del Serenissimo Principe e Illustrissima Signoria e di Capi de lo excellentissimo Consejo di X, che per il caso sequìto ozi per una maschera etc.. contro sier Vicenzo da Molin di sier Alvise procurator et sier Domenego da Molin qu. Sier Marin, per quanto si ha, è stà sier Marco Michiel qu. sier Alvixe, per tanto si dichiara: chi sa dove el sia, e ’l vadi a manifestar a li Capi dil Consejo di X, averà di taia L. 3000 di soi beni s’ il ne sarà, si non di danari di la cassa dil Consejo di X, e chi l’averà in caxa o li darà alcun favore, sia in quella instessa incolpa che lui. Con altre clausole, e chi il vogasse fuora di questa terra, e sia chi esser se voia; el volendo alcun prenderlo, si lui si difenderà, lo possi amazar impune et habi la mità di la taia“.
Narra ancora il Sanudo che dei tre aggrediti, quello che era uscito più malconcio, era sier Vincenzo, il quale era un buon mercante e persona gentilissima che non faceva del male a nessuno. Condotto a casa dopo l’attacco subito stava malissimo e non parlava, e secondo il parere di un valente cerusico di Padova, un certo Bortolo Bordon, il suo caso era disperato. Intervenne anche domino Vielmo, un ricchissimo mercante fiammingo che teneva bottega di arazzi a San Salvador, il quale cercò di guarirlo con un infuso, che sul principio sembrò funzionare, perchè il paziente iniziò a migliorare e a parlare, ma poi si rivelò solo un palliativo, e sier Vincenzo Molin spirò alle ore cinque del 26 gennaio, lasciando una puta e la giovane moglie gravida.
Venne a conoscenza del Consiglio dei Dieci che sier Marco Michiel si nascondeva in casa di un suo parente sier Marco Querini a Santa Maria Formosa, andarono quindi i capitani a scalare la casa e a buttare giù le porte per prenderlo, ma non lo trovarono, trovarono invece, con massima loro sorpresa, sier Girolamo Michiel, suo fratello, il quale era stato bandito l’anno prima e che doveva trovarsi al confino, venne quindi preso quest’ultimo e portato in prigione. Nel frattempo sier Marco, che si era nascosto in casa di uno zavater (fabbricatore di ciabatte), la notte del 26 gennaio travestito da vendicape (venditore di molluschi), andò a Cannaregio e si fece traghettare a Marghera, da dove s’involò.
Gli inquisitori ormai conoscevano bene la storia che portò sier Marco Michiel ad aggredire i Molin. Sier Marco, “doctor et continue studiava, gaiardissimo zovene“, si era innamorato di sier Domenico Molin, e per gelosia cercò di ferire sier Zuan Malipiero detto Fisolo, nel febbraio del 1516 in campo Santa Maria Formosa, per questa vicenda venne condannato in contumacia al bando per 6 anni. Sembra che il Michiel, che era rimasto sempre in città, si volesse vendicare di Vincenzo Molin che tanto si adoperò per condannarlo al bando.
La sodomia di sier Marco non era un caso isolato in casa Michiel, perché anche suo fratello sier Girolamo Michiel, quello ritrovato in ca’ Querini, era stato condannato al confino per lo stesso reato. Il Girolamo s’intratteneva con sier Zuane Ferro in una casa tenuta da una mezzana in contrada dei Santi Apostoli, entrambi furono condannati al confino, il Ferro in perpetuo (essendo parte agente) “al confin di sodomiti, qual è di là di Menzo (Mincio), di là di la Piave et di Quarner (Quarnero)”, e il Michiel a dieci anni (essendo parte paciente), ma se fosse stato trovato ancora assieme al Ferro gli si doveva duplicare il bando.
Il 6 febbraio 1518, a soli dodici giorni dall’aggressione, sier Marco Michiel venne condannato in contumacia, la condanna dura ma usuale per quei tempi recitava: “Che questo Marco Michiel sia perpetuamente bandito de Venetia et del distreto, el de tutte terre et luogi nostri, sì da parte da terra come da parte da mar, et da tutti i navili nostri armati et disarmati, et se mai in alcun tempo ci contrafarà el bando et preso sia, sia conduto qui a Venetia, et sia posto a l’hora solita sopra una piata et per el Canal grando sia conduto a Santa Croce, proclamando uno comandador assiduamente la colpa de quello, et da poi sia strasinado a coda de cavallo fino al luogo del commesso delitto, dove li sia tagliada la man destra, et poi sia conduto in mezo le due Colone el lì sopra uno eminente solaro sia descopado et squartado in quatro quarti da esser apicadi a le quatro forche, ne i loci consueti. Quelli veramente che lo prenderano et darano vivo ne le forze nostre, habino libre quatro mila de pizoli di beni soi, se ne serano, se non dei danari de la Signoria nostra, et ulterius possino trazer de bando uno bandizato de Venetia et de tute terre et luogi nostri per cadaun caso, excepti solamente i casi de rebellion et de publici asassini, et de quelli che per mal modo hanno tolto i denari de la Signoria nostra: quelli veramente che el dito Marco amazarano ne le terre et luogi nostri terrestri et maritimi, over in navili nostri armati e desarmati, habino lire tre mila de pizoli, et la faculta de trazer uno de bando ut supra; et ulterius l’interfector, sia homo de villa sia di città, sia exempto da ogni angaria real et personal. El se per avventura alcuno trovasse over havesse in caxa sua il prefato Marco et non lo denunciasse immediatamente, sia perpetuamente bandizato de Venetia et dil destreto. Et da mo’ tutti i beni del ditto Marco siano obligati a le taglie sopradite, et sia publicada la presente condanazion doman nel Mazor Consejo, et el zorno seguente su le scale de San Marco et de Rialto, et similiter ne le altre cita et luogi nostri che aparerano ai capi de questo Consejo“.
Scrive il Sanudo che a motivo dell’aggressione avvenuta fu pubblicata, in quei giorni, anche una parte (legge) che vietava, a uomini e donne, di vestirsi in maschera, sotto la pena di sei mesi di prigione e di perdere gli abiti, e che non si poteva più fare balli in casa sotto la pena di essere banditi da Venezia.
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Marin Sanudo. I Diari. Volume 25
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