Le cortigiane del Seicento secondo il poeta e librettista veneziano Gianfranco Busenello

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Jocopo Robusti detto il Tintoretto. La Danae (forse la cortigiana Veronica Franco). Musée des Beaux-Arts Lyon (foto dala rete)

Le cortigiane del Seicento secondo il poeta e librettista veneziano Gianfranco Busenello

Le cortigiane del Seicento furono a Venezia uno dei principali incentivi alla corruttela del costume. Il Governo stesso, pur severamente tendando di regolare la prostituzione, non la impediva, anzi più che tollerarla quasi l’accettava, applicando raramente le sue leggi restrittive, sapendo che non vi era mezzo più efficace dei piaceri sensuali per distrarre gli uomini da altre aspirazioni o dannose innovazioni.

Le cortigiane veneziane continuavano ad avere quella reputazione di bellezza e di grazia, onde erano state celebri per tutto il mondo; e in certa canzone secentesca, Venezia stessa, con la sua solita ironia, si vanta delle loro arti attraenti: “Quanto son scaltre le mie cortigiane! Sanno usar con gli amanti arte e drittura: Prodighe a quelli dan tutto il cuor loro. E si tirano a sè l’argento e l’oro“.

Alcune abitavano in suntuosi appartamenti sul Canal Grande, sebbene fosse proibito da una legge che s’intitolava “in materia delle habitazioni delle meretrici“; vestivano con ogni eleganza, adornandosi di perle e di gioielli a dispetto dei “Provveditori alle pompe“; passeggiavano per le vie “come principesse” accompagnate da uomini di ogni età e di ogni ceto; entravano nelle chiese, ricoprendo le ricche vesti con bianchi e lunghi veli di seta, soliti a portarsi dalle giovani da marito.

In casa accoglievano i visitatori con la chioma acconciata in modo da formare due punte arricchiate sulla fronte; erano per lo più abbigliate con una veste di stoffa damascata e la sottoveste di cambellotto rosso, tutte ornate di pizzi d’oro; avevano le calze di seta rossa e la persona profumata delle più fragranti essenze.

Molti giovani patrizi paesavano gran parte del giorno in casa di queste etère veneziane dove, oltre alle divagazioni amorose, si faceva della musica, si cantava, si banchettava; era una vita allegra e dilettevole e i vecchi patrizi facilmente indulgevano ai figliuoli simili tresche, tanto che uno scrittore contemporaneo racconta che il figlio di un Procuratore di San Marco, della casa Bollani di San Trovaso, innamoratosi di una bellissima cortigiana, la Vittoria Feltrina, non ne lasciava quasi mai la dimora, onde il padre, non volendo privarsi della compagnia del suo unico rampollo, gli permise di condur seco la cortigiana sotto il tetto paterno.

Il veneziano Gianfranco Busenello poeta nella prima metà del secolo decimosettimo, ha lasciato nelle sue gustose satire, i nomi delle cortigiane più in voga al suo tempo, e nelle lettere di molti patrizi scambiate con altri nobili lontani, sono quasi sempre ricordate le più belle peccatrici della Dominante.

La Perina Nave, figlia di Gaspare, si trova annotata nei registri del Consiglio dei Dieci fin dal 1615; era possidente abitava una casa sua al ponte di San Fantino e aveva parecchi altri stabili di sua proprietà. Anche vecchia aveva certi segreti che la facevano apparire giovane e bella, e il Busenello così la presenta nel 1657: “Perina e vecchia nona. L’è però vecchia e bella. Nè al paragon de ella, ghe pol star altra donna: Anca de sessant’anni. Perina vende amor senza malani.”

Margherita Lussi era pure una notissima cortigiana: un bel giorno si era azzuffata con un “zentilhomo zovenasso di Ca’ Falier di San Vidal, il quale l’aveva l’aveva assaltata con pugni e tonfi” e ne era seguito un lungo processo criminale in cui la Quarantia dette torto al patrizio condannandolo a cinque anni di bando e a cento ducati di multa. Innamorato perdutamente della Lussi era il giovane patrizio Vincenzo Querini del ramo della Pietà, ma la donna non ne voleva sapere “et lui viveva mortificato dalli continui disgusti che riceveva et ella rideva, e serviva di ridicolo a tutti che capitavano, che sono molti et che lei si dà con tutti in preda“.

Altra famosa meretrice era una tale Laura, detta la “Speciereta” perché nella sua camera aveva le pareti adorne di grandi specchi; era una formosa bionda, tipo tizianesco, ma di una carattere impetuoso; nel 1656 venne processata dai Dieci per avere fatto tirare una archibugiata dalla sua casa contro una finestra di Sara Galignana, altra cortigiana, causa gelosie di mestiere. Il tribunale la condannò a una multa di centocinquanta ducati e la minacciò di bandirla da Venezia; la “Speciereta” pagò e promise di far senno, “ma poi si vide al solito sopra il pergolo, anche con la piova, a far dispetti alla Galignana“.

Il Busenello rammenta ancora tra le “pompose cortigianeCattina Gritti; Emilia la Corsara; Anzola Padoana; Veronica la Vacca; Momola TodeschinaCazilla Moscardina; una certa Bettina, celebre mezzana e una sua sorella, detta il Tochetto, figlie “di un orbo e di una zotta“; una Zanetta teneva scuola di meretrici; Anzola Barcariola; Giustina Lioncini; Lucieta Frutariola; Madalena Doremi; La Camanera; “quatro bolognesi che tutte Anzola ha nome“; Anzoletta detta Mont’Albana; Anzola Zavattina; Gattina del Mula; Paulina del Pozzi; e tante altre, mentre le povere, che adescavano in Piazza i passanti e non avevano casa, li conducevano nei comodi asili di qualche albergo, come quelli alla “Luna” e al “Selvatico“, conoscitissimi asili in quel tempo di corruzione. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 11 maggio 1933.

FOTO: dalla rete. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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