Palazzo Barbaro a San Vitale

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Palazzo Barbaro a San Vitale. In "Venezia Monumentale e Pittoresca", Giuseppe Kier editore e Marco Moro (1817-1885) disegnatore, Venezia 1866. Da internetculturale.it

Palazzo Barbaro a San Vitale

Salendo alle origini, avrebbe questa fabbrica appartenuto alla famiglia Spiera, antica fra le cittadine nostre e le trevigiane, nota per la fama di un Ambrogio, frate servita, teologo e predicatore di grido nel secolo XV, e di un Francesco di Cittadella, medico nel padovano nel secolo XVI.

Infatti Pietro Spiera nel suo testamento 17 settembre 1414 asseriva di aver comperata questa casa grande da stazio a San Vitale. I Commissari poi di quel Pietro la posero all’incanto, e si ha la riferita dei Comandadori sulle stride, e sul possesso datone a Pietro Franco, droghiere a san Provolo, con atto d’ investitura, sottoscritto da Lorenzo Barbarigo e Domenico da Canal, giudici dell’Esaminador, e dal Doge Tomaso Mocenigo.

A quel tempo la stima delle case di Venezia era di sette milioni di zecchini, e l’importare dei fitti sommava a 500 mila ducati. Dopo venti anni comperava questo stabile dal Franco, per 5000 ducati d’oro, certo Nicolò Aldioni di san Vitale, dogando il Foscari, che ne firmava l’atto d’investitura.

E corso più che altrettanto periodo, i commissari, alla di lui morte, lo vendevano un’altra volta al pubblico incanto in Rialto, e ne diveniva proprietario Zaccaria Barbaro, cavaliere e procurator di San Marco. Così, in poco più di mezzo secolo, passava la proprietà in cinque o sei ditte; prova questa del commercio florido, che si faceva delle case a quei tempi. I Barbaro eseguirono notabili mutazioni ed aggiunte alla fabbrica, e la mole si fece maggiormente ragguardevole sul Canal Grande. Fu meglio ordinato anche l’attuale ingresso, che era secondo, dalla parte della fondamenta. Invece della porta quadrangolare, si apriva un’arcata gotica, di cui si vedono ancora i pilastri abbandonati, la quale rispondeva a varie arcate simili, sorrette da colonne lungo il canale, onde dalla facciata della porta si scorgeva un porticato, a foggia di procuratie.

Se ne vede l’effetto nel disegno, dato dal Grevio nell’opera: Thesaurus antiquitatum et historianim Ilaliae. Ma per le indecenze e i pericoli di quel nascondiglio sotto il palazzo, allarmatisi i Barbaro, ne chiesero l’investitura al Magistrato delle Ragion vecchie, e si chiuse da ogni parte quel sito, detto Rielo delle colonne, e fu converso in magazzino. Quindi si eresse la terza riva in quel secondo Cortile, sostenuto da colonne, in cui sta una altissima scala scoperta, che mette al secondo piano, riformato dal Temanza, di cui si conserva la perizia.

La faccia di questo palazzo è di architettura gotico-moresca, ornatissima nelle sue parti, e di bell’effetto nell’insieme, ad onta il confronto colla magione, in prossimità, dei conti Cavalli. Non sono comuni le bellezze nelle decorazioni; il primo ordine ha tre vaghe colonne di marmo greco, con basi ornate, a sostegno di quattro archi di sesto acuto; i capitelli sono gentili, di vario disegno, in ispecie quello di mezzo, per le teste di angioletti, fra ornati a fogliami all’intorno. II poggiolo è tutto di stile antico, conformato graziosamente nelle colonne e nei capitelli, e sorretto da modioni, a foggia di leoni rampanti. Il poggiolo del secondo piano è del settecento; non però di quell’epoca si vedono le decorazioni e i davanzali. Alcuni tondi, sparsi nel prospetto, con testine di marmo, taluna abbastanza leggiadra, darebbero tracce dì sicuro rinascimento dell’arte.

Forse la facciata s’ingentiliva di più, quando occorse rinnovare la Riva principale, e si volle che armonizzasse cogli accessori. Sì conosce perciò la ragione delle nicchie, di stile lombardo, intermedio alle finestre del primo ordine, che un tempo contenevano il blasone, cancellato dal marmo nel tempo della democrazia. Parimenti si conosce il motivo della riva lombardesca, con capitelli di ordine jonico, con quei due cammei o medaglioni negli spazi interangolari dell’arco, col nome intorno di Marco Agrippa e di Ottaviano. Peccato che quella Riva sia fuori di centro, né avvertì l’architetto a quello spostamento; forse mancava l’arte di piena severità nell’osservanza dell’euritmia generale.

Benemerita della patria fu la Casa dei Barbaro, che vennero da Trieste in Eraclea, poi si fermarono in Rialto. Un Donato Barbaro, capitano di 40 galere, allestite dalla Repubblica, ruppe l’armata del Paleologo e dei Genovesi, e condottosi fin sotto lo stesso Bizanzio, astrinse il Paleologo a patteggiar l’alleanza, onde si restituivano ai Veneziani le giurisdizioni e le dignità, e il Bailo sedeva di nuovo con verga di argento, per segnale di dominio.

Francesco Barbaro, Cavaliere, e Procuratore, difese Brescia dall’assedio dell’esercito Milanese, e sconfitto il general Piccinino, otteneva da Venceslao l’aquila bicipite imperiale, che inquartò nel suo stemma. II dott. Daniele fu ambasciatore in Inghilterra, intervenne al gran Concilio di Trento; era scrittore ingegnoso e facondo; commentò i canoni di Vitruvio, e illustrò la dialettica di Aristotele. Per avuto incarico dalla Repubblica, doveva continuare la Storia del Bembo, ma forse vi rinunziava, essendosi fatto ecclesiastico, come attesta il Doge Foscarini, che ne trovava il codice manoscritto.

Anche Marc’Antonio, il senatore, già ambasciatore in Francia, si segnalò come politico profondo, e fu poi cultore illuminato dell’arti belle. Si vuole che, per la stima da lui nutrita per il Palladio, fosse mosso il Senato a chiedere modelli per la chiesa del Redentore al celebre architetto, che avrebbe bramato di far sorgere quel tempio a San Vitale, anziché alla Giudecca.

In questo palazzo vedevamo il ritratto, di grandezza naturale, opera del Longhi, di quel Almorò Barbaro, in abito da Procurator di San Marco, che sostenne le cariche più dispendiose dello Stato, e tanto si distinse, che si volle proporre principe della patria, in concorrenza col Loredan. Ma egli vi rinunziava, avendo riflettuto da saggio, che dopo sprecata nella carica, soverchiamente gravosa, una buona porzione del patrimonio, non avrebbe goduto almeno il conforto di far partecipare il figlio, ancora minore, di quei privilegi di avanzamento, che si competevano in massima ai figli del Doge.

Poté però in seguito ballottarsi Doge un Antonio, di questa Casa; ma quantunque fosse stato il prode Capitano ai Dardanelli, sotto il generale Lazzaro Mocenigo, e poi generale egli stesso in Candia, Dalmazia e Albania, falliva tre volte la ballottazione, in ben settantadue prolungati scrutini. È questo Antonio, che legò trentamila Ducati, per la facciata della chiesa di Santa Maria Zobenigo, ove sta la di lui statua, con quella di altri quattro della Casa, in assisa da senatori.

Cosi dai facoltosi si secondava il genio d’immortalare ai congiunti un tributo, e poiché dalla Repubblica non si permetteva l’erezione di monumenti ai cittadini, davano sfogo all’affetto coi cenotafi entro le chiese e nelle esterne facciate. Nei recinti di questo edificio le stanze sono ricche sfarzosamente di stucchi figurati, con oro; le porte, a bel disegno, intagliate, e con contorni di marmo vario, hanno graziosi stemmi di bronzo; qualche terrazzo, con disegno di ornato, è intarsiato di madreperla a mosaico, di gusto fiorentino. Né mancano dipinti di parecchie scuole, del Liberi, del Lazzarini, del Cignaroli, di Antonio da Canal, del Fontebasso, di Davide e Lorenzo Tiepolo e del Piazzetta.

Ai nostri giorni fu signore del palazzo un altro Almorò, (Ermolao) morto in tarda età, di cui si vede un’effigie, quando era fanciullo, opera di Angelica Kaufman. Fu poeta di garbo, e diede in luce più carmi galanti, e il poema la morte di Orlando, di cui tocca il Moschini nella storia della nostra letteratura. Non fu ultimo nelle cure, per tenere in onore la magione antica de’ celebri suoi antenati. (1)

Nella seconda metà dell’Ottocento, dopo che la famiglia Barbaro si era estinta, i palazzi furono acquistati dalla famiglia Curtis-Conte (ancora oggi proprietaria), che, oltre a provvedere al restauro, vi ospitò il grande scrittore Henry James. A cavallo tra il 2000 e il 2001 la facciata è stata completamente ristrutturata e tinteggiata. (2)

(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).

(2) https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Barbaro_a_San_Vidal

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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