Palazzo Ariani (Minotto) Pasqualigo all’Angelo Raffaele

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Palazzo Ariani Minotto all'Angelo Raffaele - Dosoduro

Palazzo Ariani (Minotto) Pasqualigo all’Angelo Raffaele

Si celebra questo edifizio come opera singolare, appartenente ai primi anni del secolo XIV. Magnifico è infatti il prospetto per il lavoro, che diremo infinito, a trafori, nel finestrato centrale, intrecciandosi fra loro quattro ordini di circoli, con leggiadria capricciosa nell’interno quadrilobati, che formano uno dei più ricchi e gentili ornamenti. A sei arcate è il poggiolo, con tre ordini superiormente di fregio, di stile arabo-saraceno. Scoperta è nel cortile la scalea, sorretta al secondo ordine da quattro arcate gotiche, corrispondenti ad una loggia. La balaustrata era tutta un tempo di colonnette di pietra, secondo la consuetudine del medio evo. Due colonne, con capitelli gotici, di marmo bianco, sopra alti piedestalli quadrangolari di pietra, sorreggono un’ala di angolo, alla destra della fabbrica, e pittoresco ne è l’effetto. Una somigliante scalea ed un’eguale loggia, ed atrio con colonne e capitelli bene intagliati, di marmo greco di quell’epoca, veggonsi sul campo di Santa Margarita; ivi quel gotico portone, estremamente bello, è avanzo senza dubbio d’un palazzo, e se ne ammira qualche leggiadro davanzale archiacuto. Nell’ingresso di questa magione, che descriviamo, stanno colonne ed archi all’antica scalea scoperta, con terrazza per cui si accede alla sala, lunga piedi 405, e larga 24, avente dodici stanze all’intorno, la quale domina un orto estesissimo, da cui si scopre da lungi il prospetto di Santa Maria Maggiore.

In antico era rivestita di cuoi d’oro, in fondo nero, come in una stanza del primo piano, assai illuminata, risaltavano gli addobbi di broccatello, e le dorate impalcature. Ancora sussiste un camino antico, con gentili colonnette scannellate, ridotte a focolaio. Si ha pure memoria di alcune opere di paesaggio di Marino Zais, scolaro del Zuccherelli, a grandi dimensioni, dall’alto al basso, che, cinque per ogni lato, abbellivano la sala, e che si alienavano per soli cento e ottanta zecchini. Quanto non erano pregiabili in altra stanza alcuni arazzi dipinti di Francia, che passarono in Inghilterra! Tutto in somma era in questi recinti suntuoso; di marmo di Verona e bianco veggonsi i contorni delle porte; le porte stesse di noce, con angioletti di bronzo a decorazione; a bel disegno vedeansi i terrazzi, e ne sussiste uno nella camera del sacello.

Circa i fondatori della mole, tali controversie si agitarono fra gli eruditi, che sembra impossibile abbiano potuto insorgere. La meno fondata e plausibile sarebbe l’induzione, che si facesse erigere questo palazzo da un Giovanni Guoro, quando, confermato patrizio nel l297, si fosse trasferito nel circondario colla famiglia, dalla contrada di San Basilio, e che ne rimanesse proprietario fino al 1660, in cui la linea si estinse. Per toglier fede a tale asserzione, basta un’occhiata allo stemma dei Guoro, che rappresenta una dolce (donnola) rampante; essi ebbero inoltre ai Carmini il palazzo, e in quella chiesa il sepolcro. Mancherebbe poi di fondamento anche l’altra congettura, che dai Guoro lo ricevessero in possesso i Minotto, fondata unicamente sulla pretensione, che di loro sia lo stemma nei parapetti del finestrato.

Si osservi però, come anche il Cicogna avvertiva, che lo stemma doppio sulla facciata non apparisce, né rimesso, notisi bene, né mutato, e che si scorge contemporaneo alla fabbrica, cioè del secolo XIV, non quindi del XVII, in cui i Minotto sarebbero divenuti possessori dell’edifizio. Né si voglia accarezzare l’ipotesi, al guardar quel blasone solamente sul marmo, poiché sul marmo talvolta illude la somiglianza, o l’affinità con altri; sulla carta d’altronde i colori ne costituiscono le notabili differenze. Tale condizione premessa nell’esame, è a indagarsi allora, a quale famiglia appartenesse. Non profittiamo neppure della prova, in questo caso, che ci darebbe, per l’antichità delle origini, la nomenclatura stradale, poiché per giunta vi ha errore nella indicazione dell’attigua calle, scambiata per Briani. La quale famiglia Briani, che possedeva vari stabili a San Giovanni Novo, era veramente di San Marcuola, ed ivi presso la calle Briani sta lo stemma di essa sul muro.

Tutte le buone ragioni ammettono d’altronde il cognome Ariani, che figurava nelle nomenclature anteriori, e colla storia alla mano teniamo pertanto un filo, che non inganna, avendo abitato gli Ariani all’Angelo Raffaele, da remotissima epoca. Anche il Gallicciolli accenna alla contribuzione, nel 1379 e 1380, di ser Antonio Arian di L. 3.000 d’imprestiti, per la guerra di allora. Un Antonio si incontra poi nel 635, che ordinava l’edificazione della chiesa di San Raffaele. In questa parrocchia sono infatti frequenti in più luoghi gli stemmi della casa; vi sta sculta l’arma sul pozzo del campo, con iscrizione ai piedi, e il nome di un Marco Arian con l’anno 1349. Gli avelli della famiglia erano inoltre in chiesa, poco fuori del coro. E un codice della Marciana riporta, che Antonio Arian fabbricava presso all’Angelo Raffaele una grande e onorevole casa, la quale con testimonio di reverenda antichità si vede. Soggiunge molte abitazioni risultare da antiche scritture, che gli Ariani possedessero in quasi tutta quell’isola. Ricchi furono essi senza dubbio, ascritti al patriziato fino al 1363, in cui perdettero la nobiltà, per dolosa amministrazione propria di un ascendente, e rimasero, fino alla estinzione della casa, che fu alla seconda metà del secolo XVII, fra i cittadini originari.

Agli Ariani succedettero immediatamente i Minotto nella proprietà; e ciò è vero, come è di fatto, che fu da essi ridotto il primo piano dei mezzanini, nel secolo XVII, in cui appunto vi abitavano. Ma conviene ammettere, che la somiglianza del loro stemma sul marmo a quello degli Ariani abbia dato motivo alla supposizione, che suo fosse quello sulla facciata, poiché come d’altronde avrebbero avuto la vaghezza, per il merito di un piccolo restauro, di perpetuare in tal guisa il loro nome? Un Giovanni Minotto del fu Paolo figura capo della famiglia; era del Consiglio dei Dieci. Come in seguito, e quando, i Minotto abbandonassero la proprietà di questo palazzo, non ci consta; bensì nel 1779 ne vediamo investita del possesso una Laura Pasqualigo del fu Giorgio, vedova di un Vincenzo Gradenigo, la quale con suo testamento, rogato dal notaio Zuccoli, lascia la casa, coi mezzadi, con l’orto, coi magazzini, e le mobilie e gli addobbi, ai fratelli Pasinetti di Venezia, dott. Antonio e Carlo del fu Francesco, coi discendenti.

Estinti i detti eredi, abitano ora questo palazzo i nipoti signori Carlo e Giovanni, padre e figlio. Essi ne vendevano una parte ad Angela Maria, monaca Benedettina di San Giovanni di Torcello, professa ai dì del Patriarca Giovanelli, al secolo Lucia di Nicolò Cicogna, del ramo del Doge, e correva l’altro abbaglio d’indicarsi nelle Guide di ragione dei Cicogna l’edifizio, che in ogni modo avrebbesi dovuto nominar Gradenigo. Da questa vedova legavasi il palazzo insieme ad altri fondi, al Seminario patriarcale, e ne faceva acquisto il sig. Pagiaro, noto per la somma sua intelligenza e perizia in oggetti di belle arti. Da lui passava in proprietà del negoziante Brigiacco, e per una serie di peripezie, posto testè all’incanto, lo comperava l’altro negoziante Vianello, che sembra abbia intenzione di rivenderlo, essendo questa la vicenda perpetua ormai dei palazzi nostri, divenuti soggetto principale di speculazione e di traffico. I Pasinetti, in consorzio con gli altri comproprietari, sostennero di recente il dispendio, per dodici mila lire, di un importante restauro dell’edificio.

Sul quale diremo, a concludere, che parve si mirasse sempre, per assai strana combinazione, a fraudare la casa originaria del merito della fondazione, che pur volle essa eternare sul marmo, lasciando, a cosi dire, nello stemma la storica impronta della fabbrica, per infallibile norma dei posteri, come la lasciava cronologica nel disegno magnifico della sua architettura.(1)

(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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