Elenco cronologico dei Vescovi di Castello e dei Patriarchi di Venezia
I. Obelerio chierico figliuolo di Heneagelo Tribuno di Malamocco fu il primo vescovo creato di Rialto, il quale dal luogo, ove era posta la sua Cattedrale, assunse il nome di vescovo Olivolense, che trasmise poi ai suoi successori. Promosse la sua elezione non solo Maurizio Calbajo, doge allora residente in Malamocco, ma il clero ancora, e il popolo tutto delle isole, dopo di che fu consacrato da Giovanni patriarca di Grado, e posto nella sua Sede, nella quale visse tredici anni.
II. Cristoforo Damiata greco, quantunque giovine di non più che sedici anni, pure dal favore di Giovanni e Maurizio Calbaj dogi allora in Malamocco (ai quali raccomandato lo aveva Niceforo imperatore d’oriente) fu collocato sulla sede vescovile nell’anno in circa 797. Ad elezione cotanto irregolare negò il suo assenso Giovanni santissimo patriarca di Grado, e ricusò pure d’amministrare al nuovo eletto l’ecclesiastica consacrazione. Infuriati perciò contro di esso i dogi si portarono armati in Grado, e con barbara violenza assicuratisi del patriarca, lo fecero precipitare da un’alta torre, i di cui muri furono aspersi dal sangue suo, che per testimonianza dell’orrido sacrilegio si vedeva ancora ai tempi del doge Andrea Dandolo, che ne registrò l’eccesso. Inorriditi per azione così crudele i veneziani, disposero una congiura contro dei dogi, i quali sentendo eletto dal popolo in loro luogo doge Obelerio Tribuno, se ne fuggirono in Francia, seco conducendo Cristoforo vescovo, cagione principale delle loro disgrazie; in di cui luogo fu Giovanni Diacono illecitamente dal popolo collocato. Ricorso era circa gli stessi tempi in Francia anche Fortunato patriarca di Grado, per ottenere vendetta del tradito sangue di Giovanni suo antecessore, ed ivi contrasse amicizia con Cristoforo vescovo, che seco poi condusse nel suo regresso a Venezia, ove riconciliatosi con Obelerio, e Beato suo fratello dogi di Malamocco operò vigorosamente con essi, che fosse il discacciato Cristoforo restituito alla sua sede, dalla quale ne rimase perciò espulso l’usurpatore Giovanni. Poco però si fermò nella recuperata sede il vescovo Cristoforo: poiché sospettandosi di esso, che occultamente se la intendesse coi francesi nemici all’ora dei veneziani, fu costretto a lasciarla l’anno duodecimo di sua reggenza, e vigesimo ottavo di sua età, e condotto da Beato doge seco a Costantinopoli ivi relegato finì i suoi giorni.
III. Cristoforo secondo di questo nome, greco pur esso di nazione, e Tancredi di famiglia essendo piovano della parrocchiale Chiesa di San Moisè, seppe con l’apparenza di una falsa pietà talmente ingannare il popolo, che fu giudicato degno di riempiere la sede vacante del vescovado. Ma la Divina Sapienza, che penetra nell’interno dei cuori, benché lo soffrisse al governo dalla veneta chiesa per ben sedici anni, pure alla fine volle pubblicamente scoperta l’ipocrisia del suo mal diretto costume, e nella Chiesa di San Teodoro, mentre solennemente celebrava la messa, lo fece invadere da un crudele demonio; onde aperti gli occhi dei veneziani, e riconosciuto l’inganno della di lui mentita pietà, lo scacciarono dal vescovado, di cui era indegno. Frattanto mentre sedeva nel vescovado di Olivolo Cristoforo Secondo, la sede ducale fu per decreto del popolo trasferita da Malamocco in Rialto, e in essa vacante per l’espulsione dei dogi Obelerio, e Beato vi fu assunto Angelo Participazio, il quale da Eraclea, di cui era nativo, trasportò in Venezia le ossa dei Santi Martiri Sergio e Bacco, e nella loro chiesa allora Cattedrale della città in decente urna di marmo riposte le collocò.
IV. Orso Partecipazio figliuolo di Giovanni, e nipote di Angelo dogi di Venezia, riempì più degnamente il luogo dello scacciato Cristoforo, e nei primi principi di suo governo sollecito del divino culto volle riedificata con miglior, e più ampia struttura la Chiesa di San Pietro fondata già, come dicemmo, in Olivolo dal vescovo San Magno, e instituita cattedrale, trasferendo in essa le venerande insigni reliquie dei Santi Martiri Sergio e Bacco, che furono onorevolmente riposte in un altare al loro nome consacrato. Frattanto non essendo ben ancora nella nuova città fondata la polizia di un ben diretto governo, frequenti erano le sollevazioni del popolo, nelle quali i dogi bene spesso perdevano o la dignità o la vita. Così accade a Giovanni Partecipazio doge, a cui per la sedizione di Caroso Tribuno convenne abbandonare la sede e la patria; ma ben presto dai popoli amanti del di lui giusto governo fu richiamato, e finché egli dalla Francia ritornasse, ove si era rifugiato, governò la Repubblica Orso Vescovo di lui figliuolo insieme con due altri nobili a lui nell’amministrazione destinati colleghi. Giunto al fine del viver suo l’illustre prelato dispose con lodevole pietà dei suoi beni, lasciando ricchi legati alla sua cattedrale, e ordinando, che appresso le chiese di San Lorenzo, e San Severo juspatronato ricevuto in retaggio dai suoi maggiori, fosse fabbricato un monastero, di cui destinò abbadessa Romana sua sorella monaca in San Zaccaria. Fu rogato il testamento l’anno 853, e poco dopo il buon vescovo finì di vivere l’anno XXVI di suo vescovado.
V. Mauro ossia Maurizio veneto assunto per la morte d’Orso vescovo alla sede olivolense consacrò la chiesa di Santa Margherita, della quale stato era piovano, e che da Geniano Busmiaco di lui padre era stata fondata. Morì nell’anno X del suo governo.
VI. Domenico figlio di Giovanni Apollo fu per lo favore di Pietro Tradonico doge, con cui aveva parentela, eletto vescovo di Venezia dopo la morte di Orso Partecipazio. Scrisse a questo prelato una apostolica lettera Giovanni papa VIII, nell’anno 877, circa il quale anno passò all’altra vita dopo un vescovado di XIII ovvero XIV anni. Si scrive da alcuni cronologi di non grave autorità, essere stato successore di Domenico nel vescovado Olivolense Crasso Pacio, a cui si ascrive la fondazione della Chiesa di Santa Fosca; ma niuna menzione facendo di esso né il Dandolo, né altre Croniche d’accreditati autori, si deve a ragione rigettare dalla serie dei vescovi olivolensi.
VII. Giovanni arcidiacono della cattedrale, figliuolo di Marin Patrizio successe immediatamente a Domenico defunto, e fu poi consacrato da Pietro patriarca gradense insieme con Leone e Giovanni vescovi, quegli di Malamocco, e questi di Cittanova, o vogliamo dire di Eraclea. Governò Giovanni la chiesa olivolense tre anni, e morì poco avanti l’elezione di Orso Participazio doge, che seguì l’anno 881. Inserisce il Sansovino dopo Giovanni Patrizio nella serie dei vescovi olivolensi Giovanni Aventurazio aquileiese, che escluso ne viene dall’autorità del doge Dandolo, ed altri accurati cronologi, i quali ci accettano, essere stato immediato successore di Giovanni Patrizio nel vescovado Lorenzo Veneto figliuolo di Barbatannello della Famiglia Timens Deum.
VIII. Lorenzo Veneto (se creder si deve al Sansovino) menò vita religiosa fra monaci bianchi (quali essi fossero in quel secolo a me non è noto) prima d’esser assunto alla cattedra vescovile circa l’anno 880. Si portò egli l’anno 883, legato del doge Giovanni Partecipazio secondo a Mantova presso Carlo detto il Grasso imperatore, da cui ottenne amplissimo diploma di privilegi a favore della sua nazione. Morì poi nell’anno XXIX di sua dignità, che fu di Cristo l’anno 909.
IX. Domenico figlio di Barbaro Mauro Vilinico da Malamocco prete d’esimia pietà, fu dichiarato con applauso del Clero, e del popolo vescovo olivolense; ma egli conducendo vita ritirata appresso la Chiesa di San Mauro di Torcello, ricusò umilmente d’acconsentire alla sua elezione, finché costretto dall’istanze efficaci del patriarca di Grado, si soggettò al peso, che sostenne due anni in circa, nel fine dei quali rese lo spirito a Dio.
X. Domenico di tal nome secondo, cognominato David, figlio di Piero Orziano fu con raro esempio, benché laico, ammogliato, e con figli, assunto al vescovado per merito di sua dottrina, e di sua pietà, e quantunque ricusasse di soggettarsi, fu dal clero, e dal popolo, che lo desideravano, costretto a ricevere il grave peso del vescovado. Visse egli XVIII anni e VII mesi con la moglie, ed i figli nel palazzo di sua residenza, come in un ben regolato monastero, dedito tutto alle opere di religione e carità, finché chiamato da Dio a vita più ritirata lasciò il vescovado, e si portò all’adorazione dei sacri luoghi di Palestina; ove in vita eremitica finì santamente i suoi giorni.
XI. Pietro figlio di Pietro Tribuno già doge fu sostituito a Domenico l’anno 929, il quale desideroso di decorare la Parrocchiale chiesa di Santa Maria Formosa fondata già dai suoi progenitori, fece in essa onorevolmente deporre i sacri corpi dei Santi Saturnino e Nicodemo prete, insieme col capo di San Romano monaco, che in quel tempo erano stati trasportati a Venezia. Compiuti otto anni di vescovado passò a vita migliore l’anno di Christo 938.
XII. Orso vicario della chiesa parrocchiale di San Cassano, e figlio di Pietro Magadisio amministrò per sette anni con esimia pietà e rara dottrina la chiesa olivolense, e pieno di meriti dormi nel signore l’anno di nostra salute 945.
XIII. Domenico figlio di Giovanni Talonico, uomo famoso nella Repubblica, fu prima cappellano nella Ducale Basilica, e cancelliere del doge. Assunto al vescovado olivolense donò le reliquie di San Giovanni Battista da lui acquistate in una provincia dell’oriente chiamata Bragula, alla chiesa dello stesso precursore eretta già dai Talonici suoi antenati in una dell’isole Gemine presso Castello e lasciò il vescovado, e la vita nell’anno X di suo governo, e di Cristo 955.
XIV. Pietro figlio di Teodosio Marturio creato Vescovo di Olivolo fondò unitamente coi suoi congiunti la Chiesa di Sant’Agostino; ed eretta la parrocchiale la dichiarò perpetuamente soggetta ai di lui successori. Sedette VIII anni nel suo vescovado.
XV. Giorgio vescovo olivolense nacque di Andrea Zorzi tribuno di Jesolo, prima cappellano ducale, visse men di due anni nella sua dignità, e passò al Signore verso il fine dell’anno 965.
XVI. Marino figlio di Pietro Castianico uomo religioso e pio fu creato vescovo di Olivolo nei principi dell’anno 966, e dopo aver lodevolmente governata la sua chiesa per ventisei anni fu chiamato agli eterni riposi. Sottoscrisse il decreto, col quale Tribuno Memmo doge di Venezia donò al monaco Giovanni Morosini l’Isola di San Giorgio.
XVII. Domenico ebbe per padre un altro Domenico della famiglia Gradenigo, e dopo la sua elezione fu consacrato alla presenza di Pietro Orseolo Secondo doge da Vitale suo metropolitano patriarca di Grado nell’anno 992. Sei anni dopo nel giorno festivo dell’Ascensione consegnò solennemente nella cattedrale sua chiesa, il glorioso vessillo di Venezia al sopralodato doge Pietro Orseolo, che si portava a combattere i Narentani, ed altri popoli della Dalmazia, infesti al nome ed al commercio dei Veneziani da questo tempo, e per questa occasione è probabile che avesse origine la solenne pompa, con la quale il doge annualmente si portava a sposare, come dicono, il mare. Compiuto l’anno trentesimo quarto di suo vescovado passò a miglior vita nell’anno di Cristo 1026.
XVIII. Domenico Gradenigo di quello nome e cognome secondo, nipote del suo precessore, fu condotto alla sede olivolense nell’anno di sua età decimo ottavo. Ricusò il pio doge Ottone Orseolo d’affidare una tanto gelosa amministrazione ad un giovine; perciò sollevatisi a sedizione i parenti, ed i fautori della famiglia Gradenigo, fu il Doge cacciato in esilio a Costantinopoli, dove finì la sua vita. Governò poi Domenico la chiesa olivolense altri diciotto anni, e morì giovane di età nell’anno 1044.
XIX. Domenico Contarini vescovo Olivolense uomo di pietà singolare, fu uno dei fondatori del Monastero di San Niccolò del Lido. Ottenne dal santo pontefice Leone IX, amplissimi privilegi a favore della sua chiesa, a cui presedette trent’anni in circa, e l’abbandonò morendo nell’anno 1074.
XX. Enrico Contarini figlio di Domenico doge, e successore di Domenico vescovo, fu il primo, che lasciato il titolo di olivolense nell’anno 1091, assumesse quello di vescovo di Castello, con cui poi si nominarono i di lui successori. Eccitato dalla fervida sua pietà si portò con autorità di comando sulla veneta armata in aiuto dei principi confederati all’acquisto della Terra Santa; nella qual impresa avendo avuto la occasione di acquistare in Mira, metropoli della Licia, le sacre ossa di San Niccolò il grande arcivescovo di quella città, le trasportò a Venezia, collocandole nella chiesa dedicata al Santo, fondata già da Domenico doge suo padre, e dall’altro Domenico suo precessore nel vescovado. Illustre dunque per molti atti di religione morì il buon prelato l’anno 1108. Il giorno 15 di novembre dopo aver con lode di prudenza e pietà governata la sua chiesa per anni trentaquattro.
XXI. Vital Michiele uomo zelante del divin culto assunto l’anno 1108, al vescovado di Castello vi risedette lodevolmente dodici anni. Vide arricchita e ornata la sua città con l’acquisto del sacro corpo di Santo Stefano protomartire, e con la fondazione del Monastero della Carità, e scoprì prodigiosamente le reliquie del precursore nascoste nella parrocchiale chiesa di Sant’Ermagora. Seguita la di lui morte nel mese di dicembre dell’anno 1120 mentre gli si celebravano solenni esequie il giorno di venerdì 15 dello stesso mese di dicembre, sorse d’improvviso un inestinguibile incendio, dal quale restò in poche ore consumata la chiesa cattedrale con le case circonvicine.
XXII. Bonifacio Faliero, che dall’Ughello, ed altri autori (nulla dicendone né il Dandolo, né gli altri veneti accreditati cronologi) vien ascritto all’Ordine Eremitano di Sant’Agostino, nel sabato, giorno susseguente all’esequie del suo precessore, fu ordinato prete, e poi nella domenica consacrato vescovo olivolense. Morì l’anno di Cristo 1133, che fu il XIII di suo vescovado.
XXIII. Giovanni figlio di Pietro Polani doge di Venezia sostituito nella sede castellana al defunto Bonifacio donò all’abbate di Fruttuaria la chiesa di San Daniele per fondarvi un monastero sotto la regola di San Benedetto. Si oppose gagliardamente all’istituzione dei Canonici Regolari introdotta da Bonfiglio Zusto nella sua chiesa parrocchiale di San Salvatore, e pretendendo che illegittimamente fosse senza il suo assenso stabilita, interdisse al clero di essa chiesa i sacri uffici. Proteggeva la nuova istituzione Enrico Dandolo patriarca di Grado poco ben veduto da Giovanni per essere stato uno di quelli, che più acremente si opposero allorché Pietro suo padre fu eletto doge; ma essendosi col tempo riconciliati gli animi, ed intervenendovi replicati diplomi pontifici a favore dell’istituto, ancor Giovanni vescovo si dispose poi a promuoverlo ed assicurarlo. Da Lucio II nell’anno 1144 e da Adriano IV nell’anno 1155, impetrò prerogative e privilegi a decoro della sua chiesa da lui utilmente amministrata fino all’anno di Cristo 1164, e del suo vescovado trigesimo primo.
XXIV. Vitale Michiele di tal nome e cognome secondo, prima piovano della parrocchiale chiesa di San Paolo, fatto vescovo Castellano ottenne nell’anno 1177, da Alessandro III la confermazione degli ossequi a lui dovuti dai monaci di San Niccolò di Lido; e già decretati con sentenza ad esso favorevole dei vescovi di Jesolo e di Torcello. Fondò l’Ospedale di Sant’Elena nell’isola soggetta al vescovado castellano, alla di cui proprietà unì pure il nuovamente istituito ospedale. Si segna la di lui morte negli antichi Necrologi sotto il giorno 19 di gennaio dell’anno 1182.
XXV. Filippo Casolo resse la chiesa di Castello due anni in circa.
XXVI. Marco Nicolai uomo di vita lodevole dalla chiesa di San Silvestro, della quale era piovano, passò al vescovado di Castello, ove, come nota il Dandolo, segnava i suoi diplomi con bolla di piombo, il che costumarono ancora prima di esso altri prelati, fra i quali si numera Giovanni Gradenico eletto patriarca di Grado nell’anno 1105. Con tale sigillo si videro convalidati i diplomi, coi quali il buon vescovo desideroso di aumentare il divino culto e l’osservanza dei regolari istituti, donò a Gregorio priore di San Salvatore la chiesa di San Bortolammeo, ed a Domenico Franco l’Isola di Sant’Andrea del Lido, affinché ivi fondasse un monastero di Canonici Regolari. Vide confermati i privilegi della sua chiesa da Clemente III nell’anno 1188 e da Celestino III nell’anno 1192 e finalmente carico di meriti passò al premio di sue fatiche nell’anno quarantesimo di suo vescovado, che fu di Cristo il 1225.
XXVII. Marco Michiele eletto vescovo castellano nell’anno 1225, presò il giuramento d’ubbidienza a Giovanni Barozzi patriarca di Grado nell’anno 1229. Ebbe alcune controversie in materia di giurisdizione col patriarcato di Grado, ed altre con la signoria di Venezia per l’esenzione della Ducale Cappella di San Marco; ma furono ben presto e le une e le altre con l’interposizione di uomini prudenti pacificamente composte. Morto poi nel mese di marzo dell’anno 1235, fu sotterrato nella sua cattedrale.
XXVIII. Pietro Pino uomo dotto nel jus canonico prima arcidiacono, poi vescovo della chiesa castellana, fece a sue spese rifabbricare l’abitazione vescovile, che minacciava rovina; dispose pur anche le sagre cerimonie del divino uffizio in adattata maniera ad uso del suo clero, e nell’anno 1255, vigesimo di suo governo riposò in pace.
XXIX. Gualtiero Agnusdei patrizio veneto fu dell’Ordine dei Predicatori, alzato alla sede vescovile di Treviso nell’anno 1245, poi dopo un decennio trasferito al vescovado di Castello da papa Alessandro IV, morì nell’anno 1258 e fu sepolto nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo.
XXX. Tommaso Arimondo canonico della Ducale Basilica, eletto vescovo Castellano visse due anni nel governo della sua chiesa.
XXX. Tommaso Franco arcidiacono castellano assunse il vescovado l’anno 1260 dal quale lo tolse la morte circa l’anno 1268. Per eleggere il successore si divisero in due partiti gli elettori, l’uno dei quali promoveva Pietro Corraro primicerio di San Marco, e l’altro determinato si era per Bortolammeo Quirini canonico della cattedrale, e cappellano pontificio. Decise a favore di questo il pontefice, e l’istituì vescovo castellano il giorno 5 aprile dell’anno 1274.
XXXII. Bortolammeo Quirini figlio di Romeo prima di essere assunto alla sede di Castello fu canonico di Castello, e governò come piovano la parrocchia di Santa Maria Formosa. Eresse e dotò l’ospedale posto in Castello, che dal proprio nome chiamare volle di San Bortolammeo, ed eresse sei cappellanie nella chiesa cattedrale, affinché i sei mansionari eletti ad esse celebrassero continuamente per la di lui anima, e per quella di Giovanni suo fratello vescovo di Ferrara. Stabilito ciò col suo testamento fu chiamato da Dio a miglior vita nel giorno primo di marzo dell’anno 1292.
XXXIII. Simone Moro uomo per prudenza e per dottrina chiarissimo rese primieramente la parrocchia dei Santi Gervasio e Protasio, dalla quale trasportato fu a quella di San Barnaba nell’anno 1269; Presedette vicario capitolare alcuni anni alla chiesa castellana vacante per la morte di Tommaso Franco, fino che fu dichiarato vescovo Bortolammeo Quirini. Fu poi eletto piovano di San Pantaleone nell’anno 1286, nel qual anno fu anche dal suddetto vescovo di Castello delegato apostolico, con l’assenso del pontefice assunto al vescovado di Chioggia, che ricusò di accettare. Eletto nell’anno seguente 1287. Primicerio della Ducale Basilica di San Marco ne stese per la officiatura un particolare cerimoniale, riducendo in un solo codice tante leggi dei sacri riti, che vagavano disperse. Resse egli la Chiesa Ducale con merito quattro anni in circa, dopo i quali essendo vuota la sede di Castello per la morte del vescovo Quirini, egli vi fu assunto l’anno 1292, ma con universale dispiacere la lasciò morendo non ancora compito il decimo mese dalla sua elezione.
XXXIV. Bortolammeo Quirini nipote dell’altro vescovo di tal nome, essendo primicerio ducale fu innalzato alla sede vescovile di Castello sul principio dell’anno 1293, dalla quale amministrata da lui con lode per un decennio fu levato da Bonifacio VIII, che lo fece vescovo di Novara nel giorno vigesimo secondo di aprile dell’anno 1303. Benedetto papa XI l’anno susseguente 1304, lo trasportò al vescovado di Trento, in cui compì i suoi giorni.
XXXV. Ramberto Polo Bolognese dell’Ordine dei Predicatori fu da Bonifacio Nono destinato vescovo di Castello nel giorno 20 di febbraio dell’anno 1303. Non vi ha alcuno degli accreditati scrittori sia dei veneti, o dei domenicani, che facciano sapere con quale genere di morte Ramberto terminasse i suoi giorni. Una volgare tradizione estesa anche in alcuna delle più recenti Cronichette ci asserisce, che avendo, un vescovo di Castello (s’indica con ciò Simeon Moro) donate alla chiesa di San Pantaleone, di cui era stato piovano, alcune decime dei morti appartenenti ai vescovi Castellani, Ramberto credendo ciò essere stato illecitamente stabilito a grave pregiudizio dei vescovi successori, si portò personalmente ad esigerle; dal che essendone insorto un popolare tumulto, restò il vescovo miseramente oppresso dalla furia del popolo tumultuante. Ciò diede origine alle due fazioni, nelle quali poi si divise il popolo di Venezia. Perciò volendo gli abitanti di Castello vendicar la morte del loro Vescovo, ed opponendosi a ciò i popoli, non solo quelli della parrocchia di San Pantaleone, ma quelli ancora delle circonvicine, quali i più inferociti erano quelli di San Niccolò, divisa la città ne nacquero frequenti risse, e tramandarono ai posteri il loro odio, il quale divenuto poi naturale avversione, divise la città nei due partiti chiamati dei Castellani e dei Niccolotti. Tutto questo però, poiché taciuto dai più sinceri e accreditati Storici delle cose venete, deve reputarsi per favola, tanto più che da qualche scrittore di piccolo credito viene lo stesso scritto di Lorenzo VIII, vescovo castellano. Merito del vescovo Ramberto è l’avere formato il catastico dei beni e delle rendite spettanti alla chiesa castellana.
XXXVI. Galasso dei conti Albertini di Prato di Toscana suddiacono apostolico appena eletto vescovo di Castello addì 31 maggio nell’anno 1311, lasciò la vita e la dignità nel seguente mese di giugno, non avendo ancor ottenuto il carattere nell’ecclesiastica consacrazione.
XXXVII. Giacomo Albertini piovano del borgo San Lorenzo nella Diocesi fiorentina successe al fratello defunto l’anno stesso nel giorno 19 di giugno, come si prova con autentici documenti: dal che ne viene, che si devono cancellare dalla serie dei vescovi castellani Giacomo Morosini, e Michele Calergi prodotti troppo inconsideratamente dal Sansovino. Stette dalla sua chiesa parecchi anni assente in servizio della corte romana il vescovo Giacomo, solo nell’ottobre dell’anno 1318 si portò al suo vescovado, dal quale poi fu per decreto di Giovanni papa XXII, a forza scacciato nell’anno 1327, per essersi dichiarato fautore ed amico di Lodovico il Bavaro imperatore, nemico giurato del pontefice. Si portò dunque a Roma il vescovo Giacomo, dove unse col sacro crisma il suo Lodovico coronato imperatore dai deputati del popolo Romano; né molto dopo fu egli dall’antipapa Pietro di Corbaria, che aveva assunto il nome di Niccolò V, a richiesta dell’imperatore dichiarato cardinale e vescovo Ostiense. Poco godette egli di sue false dignità: perciò restituito alla sua sede il legittimo pontefice, e scacciatone l’usurpatore, convenne al deposto vescovo ritirarsi nella Germania, ove miseramente morì. Restò poi dopo la deposizione di Giacomo vacante la sede castellana un anno in circa, nel qual tempo sembra sia stato vescovo il sopraccennato Michele Calergi, io non posso asserirlo, tanto più che il Sansovino non lo ripone a tal luogo.
XXXVIII. Angelo Delfino canonico della chiesa cattedrale fu di essa consacrato vescovo nel giorno 10 di febbraio dell’anno 1329. Ricordevole delle ristrettezze, nelle quali lasciati aveva i già suoi colleghi canonici di Castello; non solo ottenne, che il loro numero di 22 fosse ridotto a dodici, ma assegnò loro altresì alcune eventuali rendite appartenenti al vescovado. Morì poi alla metà dell’ottavo anno di suo governo, che fu nel mese di agosto dell’anno 1336.
XXXIX. Niccolò Morosini fu eletto pochi giorni dopo la morte del suo antecessore, consacrato poi da Guidone vescovo di Concordia nel giorno 6 di ottobre. Delegato pontificio nell’anno 1338, assolse i padovani dall’interdetto, al quale per l’innobedienza degli Scaligeri, gli aveva soggettati papa Benedetto XII e nell’anno 1346, permettendo che l’ospedale di Sant’Andrea si mutasse in monastero, lo esentò dalla soggezione dei vescovi castellani. Alla santità del suo officio non corrispondeva però con la probità dei suoi costumi il vescovo Niccolò; cosicché arrivando la di lui rilassatezza ad esser di scandalo, furono per pubblico ordine nell’anno 1355, carcerati e corretti alcuni complici dei suoi falli. Intollerante il vescovo di tal insulto si portò in Avignone al Pontefice Innocenzo VI, esagerando offesa e la dignità e l’immunità ecclesiastica; ma fu ben tosto avvertito il pontefice della sincera serie dei fatti dalle lettere di Giovanni Delfino doge allora di Venezia. Stette frattanto assente dalla sua chiesa per un decennio il vescovo, finché finalmente accomodare le cose, vi si restituì l’anno 1366, ove caduto in grave e lunga infermità fini i suoi giorni verso il fine di febbraio dell’anno 1367, e nel giorno 2 di marzo fu eletto il di lui successore. Come quanto si è detto di Niccolò Morosini vescovo, e del tempo di sua morte vien comprovato da irrefragabili documenti, che tutt’ora esistono, così deve rigettarsi quanto di esso ne scrivono il Sanuto ed il Sansovino, i quali ne stabiliscono la morte nell’anno 1349, e gli danno successore un Giovanni Barbo, per cui non vi ha luogo nel quale riporlo.
XL. Paolo Foscari dottor di legge canonica fatto piovano di San Pantaleone, il settimo giorno di suo governo fu assunto alla chiesa vescovile di Coron nel regno di Morea; indi nel giorno 2 di marzo dell’anno 1367, fu dichiarato immediato successore del defunto Niccolò Morosini nel vescovado castellano. Uomo di torbido e focoso temperamento suscitò contro il governo gravissime controversie, massime per abbatter gli antichi privilegi della Ducale Basilica, che voleva ad ogni modo soggetta alla sua giurisdizione. Si portò dunque per promuovere con maggior vigore le sue pretese del pontefice, che allora risiedeva in Avignone; indi passò a Roma, ove consunto dalle fatiche e dai disgusti terminò i suoi giorni l’anno 1376.
XLI. Giovanni Piacentini nativo di Parma, dopo di aver successivamente governate le chiese di Cervia, di Padova, e d’Orvieto, fu stabilito nella sede di Castello da Gregorio XI nell’anno 1376, ma essendosi poi dichiarato seguace ed aderente al partito dell’antipapa Roberto detto Clemente VII, contro il legittimo pontefice Urbano Vl, fu da questi dichiarato decaduto dalla sua dignità, e dai scacciato nell’anno 1379, dalla sua residenza si portò indi all’obbedienza dell’antipapa, da cui fu eletto cardinale, e morì poi nella soggezione del susseguente antipapa Benedetto di Luna, chiamato nel suo partito Benedetto XIII. Ripongono a tal sito sì Marin Sanuto, come il Sansovino fra i vescovi di Castello Giovanni Amadi cittadino veneto, e cardinale, e tralasciano Giovanni Piacentini, e Niccolò Morosini di questo nome secondo, il vescovado dei quali essendoci comprovato da documenti autentici, non può essere controverso, né lascia luogo veruno, ove riporre il preteso vescovo Giovanni Amadi.
XLII. Niccolò Morosini dottor di legge, ed arcidiacono castellano, secondo di tal nome e cognome, nello stesso anno 1379 in cui fu sostituito all’espulso vescovo Giovanni pagò il debito dell’umanità morendo, e fu sepolto nella sua cattedrale il giorno di Santa Cattarina 25 di novembre.
XLIII. Angelo Figlio di Niccolò e Polissena Corrari nacque in Venezia l’anno 1335, e fino da fanciullo col suo studio e probità diede grandi speranze di sé medesimo. Abbracciato lo stato ecclesiastico fu legato apostolico prima a Ladislao re di Napoli, indi nella provincia della Marca. Eletto vescovo di Castello nel cader dell’anno 1379 dimostrò il pastorale suo zelo riformando i costumi del suo clero, e dei monasteri di donne, e precedendo a tutti nell’esempio di virtù, e di carità; appena per sé riteneva ciò che era gli indispensabilmente necessario. Arrivata alla notizia del pontefice Bonifacio IX, la fama di sua saviezza, chiamatolo a Roma lo dichiarò patriarca di Costantinopoli, ed arcivescovo commendatario di Negroponte, e con egual titolo amministrò anche la chiesa vescovile di Corone: indi da Innocenzo VII creato cardinale del titolo di San Marco nel giorno 7 di giugno dell’anno 1405. Ammirato il di lui zelo e pietà dal sagro collegio dei cardinali, lo dichiararono successore d’Innocenzo il giorno 30 di novembre dell’anno 1406, con universale applauso di Roma e di quella parte di cristianità, che riconosceva nel defunto Innocenzo il vero successore di San Pietro. Si adoperò il buon pontefice, quanto gli fu possibile, per estinguere lo scisma, da cui era allora lacerata la chiesa: ma intervenendo nella condotta dei maneggi varie insidie dei suoi nemici, ed equivoci trattati, restò egli deposto nel Concilio (chiamato conciliabolo da Sant’Antonino arcivescovo di Firenze) di Pisa, ove trionfando la frode fu dichiarato spergiuro e decaduto dalla suprema dignità della Chiesa. Seppe egli però far conoscere la sincera innocenza di sua condotta, allorché congregato legittimamente il Concilio di Costanza, in esso per mezzo di Carlo Malatesta signore di Rimini rinunziò volontariamente al pontificato, e si ritirò come privato cardinale in Recanati, ivi santamente terminò i suoi giorni.
XLIV. Giovanni Loredano primicerio di San Marco appena eletto al vescovado di Castello nell’anno 1390, prima di prenderne il possesso passò a quello di Capodistria, il di cui vescovo Lodovico Morosini era stato destinato alla chiesa di Madone in luogo di Francesco Faliero, il quale fu poi istituito vescovo di Castello.
XLV. Francesco Faliero mutò la chiesa di Modone in quella di Castello l’anno 1390, e ne conseguì il possesso nel giorno 6 di agosto dell’anno susseguente. Breve fu il suo governo: poiché appena passati sette mesi dal preso possesso sloggiò da questa terra addì 7 di marzo nell’anno 1392.
XLVI. Leonardo Delfino figlio di Marco patrizio veneto, mentre era cantore canonico nella chiesa di Modone, fu destinato dal senato veneto alla chiesa di Jesolo, che si credeva vacante nell’anno 1381. È incerto se prendesse il possesso di questa chiesa: solo abbiamo di certo, che nell’anno 1385 egli era vescovo di Cittanova, anticamente chiamata Eraclea, dalla quale passò all’arcivescovado di Candia l’anno 1367. Governò per cinque anni Leonardo quella chiesa, dopo i quali vacando la chiesa di Castello per la morte del vescovo Falier, fu assunto ad essa nell’anno 1392 nel giorno 29 di aprile. Da essa poi fu levato l’anno 1401 da Bonifacio IX, che lo dichiarò patriarca d’Alessandria, e poi nuovamente ritornato, correndo l’anno 1408 alla chiesa arcivescovile di Candia, in cui lo colse la morte l’anno 1415.
XLVII. Francesco Bembo primicerio di San Marco eletto nell’anno 1401 addì 27 di luglio vescovo Castellano, dopo aver governata per 15 anni la sua chiesa fu chiamato al cielo nel giorno 6 di settembre dell’anno di nostra salute 1416 e fu sepolto nella cattedrale.
XLVIII. Marco Lando nipote del cardinal Francesco Lando, quantunque fosse eletto nei principi dell’anno 1417 pure per la vacanza della suprema sede non ne ottenne la confermazione, che nel mese di dicembre, dopo assunto al pontificato Martino V. Zelante del divino culto risarcì a proprie spese il tetto cadente della cattedrale, e vi eresse la devota cappella dedicata a tutti i Santi, che fu poi da Martin V nell’anno 1474 arricchita di copiose indulgenze. Né minor fervore dimostrò per la disciplina del suo clero, per restituirla la quale dimostrò la costanza sua pastorale, intrepido sempre contra ogni dispiacere, ed ogni pericolo. Passò agli eterni riposi nel mese di gennaio dell’anno 1476 e dopo solenni esequie fu di lui corpo deposto nella cattedrale in una particolare sepoltura.
XLIX. Pietro Donato uomo in ambe le leggi dottissimo, dall’arcivescovado di Candia fu trasportato al vescovado della sua patria nel giorno 12 di febbraio dell’anno 1426, nel quale siede per due anni; indi passò nell’anno 1478 al vescovado di Padova, ove trovò il fine dei giorni suoi.
L. Francesco figlio d’altro Francesco e di Cattarina Malipiero dottor in legge canonica arcivescovo di Spalato, ed abbate commendatario di San Cipriano di Murano ottenne il vescovado di Castello nel giorno 16 luglio dell’anno 1428, indi conseguì quello di Vicenza nell’anno 1433 nel giorno 11 di maggio.
LI/I. Lorenzo ebbe per genitori Bernardo e Quirina Giustiniani, riguardevoli non meno per la loro pietà, che per la nobiltà della loro famiglia. Invitato dalla divina sapienza visibilmente apparsagli, mentre la madre gli disponeva cospicui sponsali, abbracciò nell’anno decimonono di sua età l’istituto recentemente fondato dei Canonici Secolari nell’Isola di San Giorgio in Alga, ove visse in continui esercizi d’orazione e virtù, severo a seco stesso, e con gli altri dolcissimo. Fatto superiore di sua congregazione diede splendidi testimoni di sua umiltà, e di sua prudenza. Onde Eugenio IV, che ben ne conosceva il merito, non credette poter dare al vescovado della propria patria soggetto miglior di Lorenzo, e nel giorno stesso della traslazione del vescovo Malipiero alla sede vicentina lo creò vescovo di Castello. Ricusò costantemente l’umilissimo santo l’offerta dignità, e vi volle tutta la forza di un pontificio precetto, perché chinasse il capo al gran peso. Con quale zelo e con quanta prudenza operasse il sant’uomo per il culto divino, e per la buona direzione del clero, e dei monasteri, lo comprovano le savie e discretissime sue ordinazioni, la solenne convocazione del sinodo, il collegio dei canonici della cattedrale da lui ristorato e accresciuto, i sacri chiostri delle monache o fondati, o ridotti a perfetta osservanza, e tutte le altre sue opere e fatiche, che registrate si leggono nella sua vita scritta prima da Bernardo Giustiniano suo nipote, e poi dal P. Gian Pietro Maffei gesuita fra le vite dei diciassette confessori di Cristo da esso composte. Frattanto mentre il santo vescovo dava testimonianze sì grandi della sua carità, massimamente nell’occasione della terribile peste, che devastò la città di Venezia nell’anno 1447. Niccolò V papa, che aveva stabilito di unire in una sola persona le dignità di patriarca di Grado, e di vescovo di Castello, onde levare i disordini e le contese, che frequenti nascevano fra i due prelati ambi residenti in Venezia, colta la congiuntura della morte di Domenico Michiel patriarca di Grado, dichiarò superiore ecclesiastico dell’una e dell’altra diocesi Lorenzo vescovo di Venezia, a cui diede il titolo di patriarca di Venezia. Assunse nella stessa occasione il nuovo patriarca l’amministrazione anche del vescovado di città nuova nell’Istria, che da Eugenio IV, prima era stato aggiunto a quel di Parenzo: poi da Niccolò V fu soggettato al patriarcato di Grado. Supplire volle il sant’uomo accresciuto di tal dignità a debiti del nuovo peso, e convocò nell’anno 1455 il concilio provinciale, a cui invitò, tutti i vescovi a sé soggetti. Dilatò pure nella nuova diocesi gli atti consueti di sua religione e misericordia, e si acquistò tal amore e ammirazione di tutti, che il governo con pubbliche lettere a Niccolò V papa dirette, implorò l’apostolica autorità, acciocché nel caso della morte del patriarca uomo santissimo, amato e riverito universalmente da tutti, concedesse loro un pastore simile, o quasi eguale a conforto della tristezza, che causerebbe una tale mancanza. Successe questa poi nel giorno ottavo dell’anno 1456, in cui il santissimo uomo dopo aver sofferto con ammirabile pazienza una lunga e penosa malattia, chiuse santamente i suoi giorni altrettanto ricco di meriti, quanto spogliato di beni terreni, che precedentemente aveva tutti trasmessi nei celesti tesori per le mani dei poveri. Cominciò il suo culto dal punto della sua morte, mentre le di lui esequie furono celebrate più a guisa di solennità di un beato cittadino del cielo, che di funerali di un uomo defunto; e si andò sempre più accrescendo la divozione sì dei veneti che degli esteri popoli verso il beato, finché Alessandro VIII papa, lo annoverò con solenne canonizzazione fra i santi confessori e pontefici, determinando per il giorno 5 di settembre la di lui festa da celebrarsi con officio proprio nella chiesa universale.
II. 1455 Maffeo figlio di Domenico Contarini discepolo prima di San Lorenzo fra chiostri, ed indi successore nel patriarcato, fu assunto a tal dignità nell’anno 1456, nel giorno 23 di gennaio, e poi nel giorno 12 di dicembre dello stesso anno ottenne da Callisto III di poter per i divini uffici cambiare nel rito romano, l’antico rito della patriarcale chiesa gradense. Governò il buon patriarca santamente la sua chiesa quattro anni, compiti i quali volò al cielo nel giorno 26 di marzo, e fu sepolto nella chiesa di San Giorgio in Alga, ove aveva condotta la religiosa sua vita.
III. 1460 Andrea nato da Marin Bondumiero e da Francesca Barbaro nobili e pii genitori, e dotto nelle greche e latine lettere, mentre si disponeva a professare l’istituto di Sant’Agostino nell’Isola di Santa Maria di Nazareth, fu, condotto dalla divina previdenza ad essere il primo fondatore di un nuovo ordine di canonici regolari, detti di Santo Spirito dall’Isola, in cui furono istituiti. Con la santità dei suoi costumi, e con la prudenza del suo governo si acquistò egli tal credito, che a pieni voti del senato fu nel giorno settimo d’aprile dell’anno 1460, destinato successore al defunto patriarca. Colmò di giubilo la città tutta una tal elezione: solo Andrea pieni di tristezza ricusò con tal fermezza d’acconsentirvi, che fu d’uopo impetrare l’apostolica autorità per costringerlo ad accettarla; nulla essendo valse appresso il pontefice Pio II le di lui umili scuse per esentarsene. Fatto patriarca per obbedienza amministrò con sì lodevole maniera la chiesa, e la greggia a sé commessa, che lasciò un sommo desiderio di sé nella felice sua morte, succeduta nel giorno sesto di agosto dell’anno 1464. Fu il di lui corpo, come aveva comandato morendo, trasportato all’Isola di Santo Spirito, ed ivi in particolar sepoltura riposto.
IV. 1464 Gregorio Corraro nipote di Angelo, prima vescovo castellano, poi sommo pontefice con il nome di Gregorio XII, ebbe per genitori Giovanni Corraro, e Cecilia Contarina, i quali con ogni diligenza lo fecero educate e nella pietà, e nello studio. Per impulso di Angelo cardinale Corraro suo zio abbracciò lo stato ecclesiastico, e in qualità di protonotario servì molti anni, benché con poca fortuna, alla corte di Roma. Conobbe però il senato di Venezia le virtù e il merito di questo suo cittadino, e nel giorno nono di agosto 1464, lo destinò successore al defunto patriarca Bondumiero. Confermò l’elezione Paolo II, ma poco dopo addì 19 novembre il nuovo patriarca chiuse i suoi giorni in Verona nell’Abbazia di Santo Zenone, da lui posseduta in commenda. Diede un’illustre testimonianza della santità di questo prelato San Lorenzo Giustiniani, quale vicino a morte raccomandò con fervore al senato, che in di lui luogo elegger volesse il protonotario Corraro uomo d’esimia dottrina, e di costumi santissimi: quello che pur fece morendo Maffeo Contarini: e poi Andrea Bondumiero cercando di esimersi dal peso del patriarcato addossatogli, richiese con forti istanze il senato, che promovesse il Corraro uomo (diceva egli per umiltà ) di lui assai più degno, e di tal posto più meritevole. Richiese il senato per successore del Corraro nel patriarcato Marco Lando nipote di Paolo II, ma ricusò egli di soggettarsi, desideroso di assistere il vecchio suo zio nei gravi pesi del supremo vescovado.
V. 1465 Giovanni Barozzi vescovo di Bergamo, uomo di rigida disciplina, fu dichiarato patriarca di Venezia nei principi dell’anno 1465. Nel breve tempo del suo governo promosse a tutto potere l’osservanza dei sacri riti, il divino culto, e la costumatezza del clero. Per cui Paolo II soggettò al patriarcato di Venezia il monastero ora ruinato di Santa Margarita di Torcello bisognoso di riforma. Mentre dunque lo zelante prelato andava disponendo nuovi regolamenti per il bene della sua chiesa, colto da repentina morte spirò nel mercoledì Santo dell’anno 1466, un anno appunto dopo preso il possesso del patriarcato, e nel giorno seguente del giovedì Santo fu sotterrato nella sua cattedrale.
VI. 1466 Maffeo dai genitori nobilissimi Giovanni Gerardi, e Cristina Barbarigo trasse i natali. Fatto adulto vestì l’abito camaldolese nel Monastero di San Michele di Murano, ove per il merito di sue virtù fu fatto abbate; ed indi dal senato veneto fu destinato nell’anno 1466 a riempir la vacante sede patriarcale. Ricusò per qualche tempo d’acconsentirvi Paolo II. Ma finalmente cedendo alle costanti e replicate istanze del senato ne confermò l’elezione. Costituito dunque in sì alta dignità l’uomo religioso, tutte conservò in essa le virtù praticate nel chiostro. Umile, e austero per sé, sollecito e benigno con gli altri diede al suo clero in sé stesso un esemplare di perfetto ecclesiastico. Conobbe il senato quanto dalla virtuosa direzione del patriarca provenisse di bene al clero: che però con replicate istanze implorò dal pontefice, che niuno prete in avvenire fosse esentato dalla soggezione patriarcale, e che i monasteri di monache, quantunque esenti per privilegio, visitati fossero dal patriarca per il santo oggetto di riformarli. Né con minor cura invigilò il buon prelato ai vantaggi e al decoro del suo clero, a favore del quale ottenne dal pontefice Sisto IV, diplomi amplissimi.
Note dunque al pontefice Innocenzo VIII, essendo le sante opere di Maffeo patriarca, lo disegnò cardinale del titolo dei Santi Nereo e Achilleo con una privata elezione, che riconosciuta validissima dal sacro collegio dei cardinali bastò, perché fosse ammesso in occasione di sede vacante nel concistoro. Eletto poi pontefice Alessandro VI, mentre ritornava il cardinale alla patria, sorpreso nel viaggio da gravissima dissenteria si fermò in Terni. Ivi aggravandosi di giorno in giorno il male richiese di essere munito degli estremi sacramenti, e poco dopo placidamente spirò nel settembre dell’anno 1492, contando d’età anni ottantaotto, e ventisei di patriarcato. Trasportato il di lui cadavere alla patria ebbe sepoltura nella cattedrale.
VII. 1492 Tommaso Donato contava in circa dieci anni, allorché Ermolao suo padre fu barbaramente nel giorno 5 di novembre dell’anno 1450 da occulto assassino trucidato, a cui l’illustre senatore diede cristianamente con replicati atti di carità la pace e il perdono. Educato sotto l’ottima disciplina di Marina Loredano sua madre volle nell’anno XVI di sua età vestire l’abito dei predicatori nel Convento di San Domenico di Castello, ove dato avendo saggi illustri di prudenza e dottrina, fu nel giorno 1 di ottobre dell’anno 1492 innalzato alla sede patriarcale, e consacrato nel giorno 2 del seguente novembre. A di lui istanza il pontefice Alessandro VI confermò prima, e poi aumentò gli antichi privilegi della chiesa Castellana, e pose sotto la giurisdizione dei patriarchi la Chiesa di San Matteo, detto San Mafio di Mazzorbo. Procurò ed ottenne che s’istituissero a decoro della sua cattedrale dodici canonicati, ai quali assumere si dovessero soggetti dal numero dei piovani della città. Morì carico più di meriti che di anni nel giorno 11 di novembre dell’anno 1504, e fu sepolto nell’oratorio battesimale di San Giovanni Battista per di lui comando eretto vicino alla Cattedrale.
VIII. 1504 Antonio figlio di Michiel Suriano nato nell’anno 1456. Si dedicò a Dio nel rigido istituto dell’Ordine Cartusiano fino dalla prima sua gioventù. Crebbe il credito di sua pietà e prudenza in tal guisa, che il senato lo scelse fra molti a riempire la sede vacante del patriarcato nell’anno I601 e nel giorno 27 di novembre. Accettò benché con qualche ripugnanza la dignità addossatagli, e condusse poi in essa una vita di perfetto claustrale senza niente ommettere dei doveri del proprio ministero. Dormi felicemente in pace nell’anno 1508, e fu (come prescrisse vivendo) sepolto nella chiesa del suo monastero di Sant’Andrea, detto della Certosa.
IX. 1508 Lodovico Contarini fu da pii suoi genitori Mosè Contarini e Catterina Morosini allevato in tutti i doveri di nobile, e di cristiano, ma nulla e li curando lo splendore del suo stato si ritirò a vivere fra i canoni secolari di San Giorgio in Alga; dei quali fu sette volte rettore generale. Innalzato al trono patriarcale della sua patria nel giorno 19 di maggio dell’anno 1508, nel breve tempo, che l’occupò, vi fece tutte risplendere le virtù degne d’un prelato, instituendo maestri allo studio dei chierici, e diffondendo nei poveri tutto ciò che avanzava al parco suo mantenimento. Morì universalmente compianto da tutti nel giorno 16 di novembre, non ancora compiuto un semestre dalla sua elezione, e fu il suo corpo portato con pompa alla sepoltura, che destinata egli si aveva nella Chiesa di San Cristoforo della sua congregazione, detta volgarmente la Madonna dell’Orto.
X. 1508 Antonio consanguineo del suo antecessore nacque di Pietro Contarini, e di Orsa Barbaro, dai quali ottimamente educato si arruolò fra i Canonici Regolari di San Salvatore. Il credito di sua virtù determinò il senato ad eleggerlo patriarca di Venezia nel giorno 30 novembre, correndo l’anno 1508. Al di lui zelo deve la città di Venezia la riforma eccellentemente eseguita dei monasteri di monache, la maggior parte dei quali caduti in rilassatezza di disciplina fino dai tempi del funestissimo scisma cominciato sotto Urbano VI, erano totalmente decaduti dal loro antico splendore. Né minore dello zelo fu la prudenza con cui superò le difficoltà, e la costanza dell’animo suo, in vigore della quale sprezzò ogni pericolo, e ogni dispiacere, e finalmente, proteggendo Dio la buona causa, ridusse tante recalcitranti donne sotto il soave giogo della regolare disciplina. Né con minor sollecitudine attese al divino culto, e al decoro di sua dignità, e ci restano ancora testimoni di sua ecclesiastica munificenza, le due cappelle del Santissimo Sacramento e della Santa Croce da lui nella cattedrale magnificamente erette e dotate, e la restaurazione del palazzo di residenza, quasi per l’intero dai fondamenti rinnovato. Passò al premio dei suoi meriti l’infaticabile patriarca sulla mezza notte susseguente al giorno 7 di ottobre nell’anno 1524, e il di lui corpo ebbe sepoltura nella cappella della Santa Croce da lui, come dicemmo, fabbricata.
XI. 1525 Girolamo trasse nella famiglia Quirini da un altro Girolamo e da Margarita Zorzi i suoi natali, ed entrato appena nell’età dell’adolescenza vestì nel convento di San Domenico l’abito dei Predicatori. Ivi visse con tal esemplarità di costumi, e splendore di dottrina, che il senato nel giorno 21 di ottobre dell’anno 1524, lo destinò successore al defunto patriarca Contarini. Corrispose all’espettazione l’eletto nello zelo, e nella sollecitudine, ma non possedendo in egual grado la soavità e la discretezza, troppo rigido e tenace del suo parere incontrò litigi non solo col clero, ma anche col Dominio: quantunque dalla bontà di Clemente VII pontefice massimo esortato fosse a seguitar la strada più tosto della misericordia, che della severità, pur nonostante seguendo gli impulsi dell’austero suo naturale costrinse il pontefice stesso a modellare con pontifici diplomi le rigorose sue procedure. Nuove controversie incontrò poi anche col pontificio legato: onde vedendosi mal visto dal suo clero, e contrariato da tutti, si ritirò in una villa del territorio vicentino, ove chiuse i suoi giorni patriarca zelantissimo e degno di eterna memoria, se eguale all’altre sue virtù fosse stata la discreta dolcezza nel governare. Morto dunque appresso Vicenza nel Colle di San Sebastiano, fu il di lui cadavere condotto a Venezia, e chiuso nel sepolcro da lui vivente preparatosi nel capitolo del Monastero di San Domenico, non discosto dalla comune sepoltura dei frati.
XII. Pier Francesco figlio di Taddeo Contarini fu dal magistrato laico dei Censori, a cui presiedeva, innalzato all’ecclesiastica dignità di patriarca nell’anno 1554 addì 21 agosto. Fu accetta a tutti tal elezione per la rara dottrina, e per i religiosi costumi, dei quali egli era ornato; ma breve fu l’allegrezza; passando, egli con immatura morte al cielo la notte precedente al Natale del signore nell’anno 1555, lasciando una memoria felice di sue virtù, e d’illibata virginità conservata sino alla morte.
XIII. Vicenzo nato di Luigi Diedo e di Elisabetta Priuli, essendo capitano a Padova l’anno 1556, nel giorno 24 di gennaio fu destinato patriarca di Venezia. Pose egli ogni sua cura, perché al carattere e dignità sacerdotali fossero assunti uomini di dottrina e costumi regolati; con che migliorò notabilmente lo stato del suo clero nei quattro anni che lo governò. Morì nel giorno 9 di dicembre dell’anno 1559, e con dolore universale fu sepolto nella sua cattedrale.
XIV. Giovanni Figlio di Paolo Trevisano e d’Anna Moro, abbate commendatario di San Cipriano di Murano, fu destinato patriarca nei principi dell’anno 1560; ottenne da Paolo IV la confermazione degli antichi privilegi dei patriarchi gradesi, e da Sisto V, impetrò, che l’Abbazia di San Cipriano di Murano restasse perpetuamente annessa al patriarcato di Venezia. Nell’anno ventesimo di suo governo accolse i visitatori apostolici Lorenzo Campeggio ed Agostin Valiero, destinati da Gregorio XIII perché riformassero bisognando i costumi del clero, e promovessero il divino culto. Adempirono esattamente i saggi prelati l’officio loro commesso, e non ebbero che a lodare la diligenza e lo zelo del patriarca, ai quali ben corrispondeva la morigeratezza, e la sana dottrina del clero. Diresse egli trent’anni la sua chiesa, compiuti i quali partì dal mondo nel giorno 3 di agosto dell’anno 1590, lasciando il corpo nel seno della sua cattedrale da lui adornata con l’altare di marmo dedicato a San Giovanni Evangelista. Vacava per la di lui morte la chiesa di Venezia, allorché Sisto V papa con bolla data nel trentesimo giorno di dicembre dell’anno stesso 1590 concesse, che i chierici veneti potessero essere promossi agli ordini sacri, anche senza patrimonio, purché con il consenso dei rispettivi piovani fossero ascritti ad alcuna delle parrocchiali e collegiate chiese della Dominante.
XV. Lorenzo da Giovanni Priuli e Laura Donado suoi genitori virtuosamente educato, servì negli interni ed esterni offici della Repubblica con tale approvazione del senato, che giudicò bene il trarlo dal governo di Brescia, ove era podestà, per collocarlo al governo della chiesa patriarcale vacante nei principi dell’anno 1591. Si diede tosto con tale sollecitudine a coltivar il suo gregge, animandolo coll’esempio, ed istruendolo con santissime regole: onde Clemente VIII ammirandone la direzione gli commise di dover visitare e correggere quanto trovasse di sconcertato nelle chiese e monasteri della sua diocesi: il che per più utilmente adempire, e dovesse (come eseguì per ben due volte) convocar il sinodo diocesano. Premiò poi il sopra lodato pontefice lo zelo e la costanza del patriarca, annoverandolo fra i cardinali nel giorno 5 di giugno dell’anno 1596. All’attenzione pastorale fu eguale lo zelo del divino culto: perciò promosse a tutto potere la rifabbrica della cattedrale, il di cui prospetto esteriore volle che di marmo a proprie spese si costruisse. Passò all’eterna quiete nel giorno 26 gennaio dell’anno secolare 1600, ed il di lui corpo fu sepolto nella cattedrale a piedi dell’altare (in esecuzione del di lui testamento) fatto ergere ad onore del martirio di San Giovanni evangelista da Marco Priuli suo nipote.
XVI. Matteo Zane ebbe suoi genitori Girolamo procuratore, ed Elisabetta Vitturi; ed avendo servito alla Repubblica in varie ambascerie, ed interni uffici, fu fatto patriarca nel giorno 2 di gennaio, mentre sosteneva attualmente nell’anno 1600 la carica di consigliere. Nel quinto anno di suo governo, che fu di nostra salute 1605 uscì di vita nel giorno 24 di luglio; e nella chiesa patriarcale ebbe la sepoltura.
XVII. Francesco figliuolo di Marco Vendramino e di Maria Contarini, dopo aver dato luminosi saggi di sua saviezza, ambasciatore per la Repubblica appresso molti principi, fu due giorni dopo la morte del Zane eletto dal senato patriarca di Venezia; e undici anni dopo da Paolo V dichiarato cardinale del titolo di San Giovanni ante portam Latínam. Finì di vivere nell’anno 1619, e nel giorno 17 di ottobre, e fu riposto nella sepoltura della cappella da lui magnificamente eretta nella cattedrale ad onore della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo.
XVIII. Giovanni Tiepolo corrispose all’educazione, che gli diedero i nobili suoi Genitori Agostino Tiepolo e Laura Bragadin, con un mirabile profitto nello studio e nella pietà. Abbracciata la vita ecclesiastica fu fatto primicerio della Basilica Ducale nell’anno 1600, e poi eletto patriarca nel giorno 20 di novembre dell’anno suddetto 1619. Zelante del pari e del divino onore, e del bene della sua greggia, ridusse a perfezione la nuova fabbrica della sua cattedrale; vi istituì la carica di canonico teologale, e consumò nel soccorso dei poveri quanto gli restava dal moderato suo mantenimento dalle molte fabbriche sacre, che o innalzò per intero a tutte sue spese, o con riguardevoli soccorsi di soldo generosamente promosse. Nell’anno poi decimoterzo di sua dignità, e di nostra salute 1630 volò all’eterna remunerazione di sue fatiche, abbondante tanto di spirituali, quanto scarso di temporali ricchezze, ed illustre non meno pieno l’esimia sua pietà, che per la rara dottrina, delle quali sono testimoni ancora viventi le molte opere da lui date alle stampe.
XIX. Federico Cornaro, illustre per i nobili suoi genitori Giovanni doge di Venezia, e Laura Delfino, si rese ancora più riguardevole per i propri meriti. Nella prima sua gioventù fatto chierico passò a Roma, ove da Clemente VIII fu dichiarato chierico di camera, e poco dopo vescovo di Bergamo. L’aggregò al sacro collegio dei cardinali nell’anno 1626 Urbano VIII, che lo trasferì anche al vescovado di Vicenza, e poi nell’anno 1629 a quello di Padova. Chiamato poi nell’anno 1631 ad occupar la sede patriarcale della sua patria, diede alla sua chiesa ed al clero attestati di sua munificenza, ristorando il palazzo di residenza, e concedendo ad uso di seminario l’antico monastero di San Cipriano, annesso alla mensa patriarcale. Consumato dalle fatiche, ed aggravato dai dolori della podagra rinunziò al patriarcato nell’.anno 1644 e ritiratosi a Roma, ivi chiuse i suoi giorni.
XX. Giovanni Francesco Morosini, nipote del cardinal di tal nome, nacque in Venezia di Giovanni Morosini e di Maria Bernardo, ed abbracciato lo stato ecclesiastico fu destinato patriarca nel giorno 3 di aprile dell’anno 1644. Depose solennemente nel magnifico mausoleo erettogli dal senato, il corpo del beato, ora Santo Lorenzo Giustiniani nell’anno 1666. Resse la sua chiesa XXXIV anni, e passò all’altra vita nell’anno di Cristo 1678.
XXI. Luigi Sagredo figlio di Zaccaria procuratore, e di Paola Foscari, si impiegò nei ministeri esterni della sua patria ambasciator ai principi, e nelle più gravi magistrature. Dopo la morte del doge Niccolò suo fratello, mentre nell’anno 1678 si disponeva all’ambasceria di Costantinopoli, alla quale era stato eletto; fu poco dopo nel giorno 11 di agosto dichiarato successore del defunto patriarca Morosini, morì e fu sepolto nella cattedrale l’anno 1688.
XXII. Giovanni fu dai suoi genitori Francesco Badoaro ed Elena Michieli consacrato all’educazione di Alberto Badoaro suo zio, vescovo di Crema, che con ottime istruzioni l’allevò nella strada ecclesiastica, e lo istituì arcidiacono di Crema. Ottenne poi un canonicato nella cattedrale di Padova, e fu indi eletto nell’anno 1681 primicerio di San Marco. Fece in questa dignità talmente risplendere la sua pietà, che il senato nel giorno 16 di settembre dell’anno 1688 lo destinò alla sede vacante del patriarcato. Non si possono abbastanza lodare lo zelo, la soavità, e la costanza, con cui il santo prelato procurò di ridur a migliore forma il suo clero, non poco deteriorato per la soverchia dolcezza dei suoi precessori, e nulla omise per ridurre (come col divino aiuto ottenne) a buona regola di disciplina i monasteri di monache, che procurò a tutto suo potere di allontanare dagli attacchi del mondo. Promosse la dottrina cristiana per i fanciulli, ed i catechismi per gli adulti: e favorendo sempre i più costumati e più dotti, animò gli altri a ben operare anche per la speranza del premio. Conobbe le ottime qualità del patriarca il gran pontefice Clemente XI, che però desiderando in travagliosa condizione di tempo dar alla città di Brescia uno zelante e prudente pastore, vi trasferì nell’anno 1706 il patriarca Badoaro, dichiarato cardinale nella numerosa promozione del giorno 17 di maggio. Resse egli la chiesa di Brescia santamente otto anni, e morì nell’anno 1714.
XXIII. Pietro figlio di Girolamo Barbarigo, e di Lucrezia Malipiero, prima presiedé come primicerio alla Ducale Basilica, indi fu dichiarato patriarca di Venezia nel giorno susseguente alla Natività del precursore, nell’anno 1706. Seguendo gli illustri esempi del suo precessore, ridusse con zelo e invincibile costanza il suo clero a tale stato di costumatezza e dottrina, che per oracolo pontificio del sopra lodato Clemente XI fu proposto per esemplare agli altri cleri d’Italia, il che ottenne il buon patriarca con ammettere al servigio dei sacri altari solo quei chierici, nei quali conosceva irreprensibile costume e sufficiente letteratura. Fu da Dio chiamato dalle sue fatiche agli eterni riposi nell’anno decimonono del suo governo, che fu di Cristo 1725 nella solennità dei Santi Apostoli Filippo e Giacomo, e fu sepolto nella chiesa di San Vito, sua gentilizia parrocchia.
XXIV. Marco Gradenigo nacque di Girolamo procuratore, e di Donata Foscari, e dalla prima sua gioventù intraprese la carriera ecclesiastica, nella quale fatto vescovo di Filipopoli, fu dichiarato successore del patriarca d’Aquileia, indi nell’anno 1714 tradotto alla chiesa di Verona, che resse fino all’anno 1725. Diede splendore al di lui nome l’esimia carità, con la quale profondeva nei poveri non solo le rendite ecclesiastiche, ma anco il ricco suo patrimonio, che però il senato nel giorno quinto di maggio dell’anno suddetto lo volle patriarca di sua metropoli, nella quale benefico ai poveri, ed alla sua chiesa cessò di vivere l’anno 1734, e fu, (come aveva per umiltà ordinato) deposto nella sepoltura comune dei suoi canonici.
XXV. Francesco Antonio da Venezia, così nominato nella religione dei Cappuccini, in cui professò, fu dai suoi genitori Lorenzo Cetraro, e Pellegrina Gussonni nominato nel battesimo Francesco, amministrate avendo nella Repubblica riguardevoli cariche militari e Civili, si arruolò fra i Cappuccini, d’onde Dio lo trasse per costituirlo patriarca; eletto dal senato nel giorno decimo ottavo di novembre dell’anno 1734. Morì in una villa presso il Castello di Montagnana, sorpreso da morte repentina l’anno 1741, nel giorno decimosettimo di maggio, e il di lui cadavere trasportato a Venezia fu sepolto nella cattedrale.
XXVI. Luigi, o come si chiama dai veneti, Alvise Foscari, figlio d’altro Luigi e di Pisana Moro, passato in età adulta dai magistrati allo stato ecclesiastico, ottenne prima un canonicato nella Cattedrale di Padova, indi nell’anno 1741 fu dal senato nel giorno vigesimo quinto di maggio eletto patriarca. (1)
XXVII. Alvise Foscari 1741-1758
XXVIII. Giovanni Bragadin 1759-1775
XXIX. Federico Maria Giovanelli 1776-1800
XXX. Ludovico card. Flangini 1802-1804
sede vacante 1804-1807
XXXI. Nicola Saverio Gamboni 1807-1808
sede vacante 1808-1811
XXXII. Stefano Bonsignori 1811-1814
sede vacante 1814-1817
XXXIII. Francesco Maria Milesi 1817-1819
XXXIV. Giovanni Ladislao Pyrker 1821-1827
XXXV. Jacopo card. Monico 1827-1851
XXXVI. Pietro Aurelio Mutti 1852-1857
XXXVII servo di Dio Angelo Francesco Ramazzotti 1858-1861
XXXVIII Giuseppe Luigi card. Trevisanato 1862-1877
XXXIX Domenico card. Agostini 1877-1891
sede vacante 1891-1893
XL. Giuseppe card. Sarto (san Pio X) 1893-1903
XLI. Aristide card. Cavallari 1904-1914
XLII servo di Dio Pietro card. La Fontaine 1915-1935
XLIII Adeodato Giovanni card. Piazza 1936-1948
XLIV Carlo Agostini 1949-1952
XLV Angelo Giuseppe card. Roncalli (san Giovanni XXIII) 1953-1958
XLVI Giovanni card. Urbani 1959-1969
XLVII Albino card. Luciani (servo di Dio Giovani Paolo I) 1969-1978
XLVIII Marco card. Cè 1978-2002
XLIX Angelo card. Scola 2002-2011
L Francesco Moraglia 2012 (2)
(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).
(2) http://www.patriarcatovenezia.it/patriarcato/storia-del-patriarcato/elenco-dei-patriarchi/
FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.