Chiesa del Santo Sepolcro. Monastero di Monache Francescane Chiesa demolita, Monastero secolarizzato
Storia della chiesa e del monastero
Variano fra se discordi gli scrittori nel decidere, a chi principalmente appartenga il merito d’aver fondato in Venezia il monastero del Santo Sepolcro. Perciò il Wadingo negli annali Serafici ne vuol fondatrice Elena vedova di Marco Vioni, ed il Gonzaga nella Storia Minoritica asserisce, esserne state le fondatrici Polissena Premarino e Beatrice Veniera, fuggire da Negroponte in Venezia nella fatale invasione di quel regno. Sottoscrivono al parer del Gonzaga, l’Arturo nel martirologio francescano, che al giorno 9 di settembre enunziando la Beata Beatrice Veniera, nota aver essa dato con la Premarina i principi al monastero del Sepolcro, e l’avrebbero nel menologio pur francescano, che allo stesso giorno della Beata Beatrice facendo menzione, più diffusamente racconta la prodigiosa di lei fuga dall’isola soggiogata insieme con la Premarina, che poi le fu compagna nell’erezione del monastero.
Questa apparente contraddizione di storici altrettanto veritieri, quanto accreditati, vien facilmente conciliata dal confronto dei documenti, con l’autorità dei quali tessere si deve la vera ferie della fondazione. Nei principi del XV secolo Elena nata dalla nobile famiglia Celsi, e già maritata con Marco Vioni, nobile veneto, dopo la morte del marito abbandonato ogni pensiero di mondo, tutta si diede ad una vita ritirata e devota nei lodevoli esercizi di cristiana carità e religione. Desiderosa però che dopo ancora della sua morte continuati fossero a benefizio dei prossimi quegli atti di carità cristiana, nei quali impiegata ella si era vivendo, dispose con suo testamento, scritto l’anno 1409, che la metà di sua casa assegnata fosse in abitazione di povere e devote donne, delle quali già accolto aveva qualche numero; e l’altra assegnata fosse in ospizio di quelle pellegrine, che per l’acquisto di sacre indulgenze si portavano ai luoghi sacri sì d’Italia, che d’oltremare; frequente essendo; allora in Venezia l’approdare di quelli, che bramavano opportunità di trasporti ai sacri luoghi di Palestina.
Eseguirono fedelmente i commissari destinati la disposizione della pia matrona, e ridotta ad uso di piccoli domicili, ed ospitale ricetto l’ampia casa posta in contrada di San Giovanni in Bragola, vi fecero innalzare vicina una cappella sotto il titolo di Maria Vergine presentata al tempio, che resa più ampia dappoi, fu per un Santo Sepolcro eretto in essa a perfetta somiglianza col vero, chiamata la chiesa del Sepolcro.
Non passò molto tempo dal compimento delle caritatevoli fabbriche, quando al Regno di Negroponte fatalmente soggiogato dai turchi giunsero a Venezia coi miseri avanzi della nobiltà di quel paese, Beatrice Veniera, e Polissena Premarina, le quali rive di ogni umano soccorso accolte furono l’anno 1471, nella parte della casa destinata a povere donne, ove santamente vivendo disposero i principi del nobile monastero, in cui poi si convertì. Era Beatrice una giovane di vaghissimo aspetto, che nella fatale espugnazione di Negroponte perdute avendo tutte le assistenze di sua parentela, timorosa più di sua castità, che della vita, fuggi ad uno scosceso monte non lungi dal mare. Ivi priva di consiglio, non men che di aiuto, si tagliò intera la bionda sua chioma per poter con essa legarsi ad un albero, proposto avendosi di morire consunta dalla fame, o divorata dalle fiere, piuttosto che espor la preziosa sua virginità alla licenza militare dei barbari. Mentre dunque l’afflitta donzella lavorava torcendosi recisi capelli, le apparve la gran Madre di Dio, e la confortò soavemente nei suoi timori, l’assicurò della preservazione di sua integrità: indi la consigliò rifugiarsi in Venezia, ove l’aveva destinata per fondare sotto il suo nome e patrocinio un monastero di suore. Rincuorata Beatrice da tal vista, e da sì fausti presagi, mentre si dispone a scender dal monte, si scorge a lato, un venerabile vecchio, che per breve e facile cammino la condusse al mare, e la raccomandò al capitano di una nave, che pronta stava alla vela. Ivi ritrovò Polissena Premarina sua intima amica, e che nella sorpresa della città perso aveva il marito trucidato dai turchi: perciò credette doversi unir ad essa, ed insieme intraprender il viaggio verso Venezia. Quivi assistite dalla pubblica carità, non avendo tetto proprio, ove ricoverarsi, furono dai commissari della Vioni introdotte nell’ospizio delle vere donne, dove vivendo in somma ritiratezza, ed impieghi continuati di carità, diedero ben predetto a conoscere quale fosse la santità del loro animo. Sparsane di ciò la fama, vi accorse a vederle Orsola Usnago vergine nobile, che desiderosa di dedicarsi al divino servigio, ispirata si sentì di unirsi ad esse; che pur fece poco dopo Maria da Canale, matrona d’esimia pietà.
Meravigliosi furono gli esempi di virtù, che diedero queste donne nei ben ripartiti esercizi di orazione, di penitenza, e di ministrare ai poveri; sicché invaghite di una si lodevole maniera di vivere sei nobili donzelle, pregarono, ed ottennero di esser aggregate alla loro compagnia. Questi furono i principi del monastero. Poiché avendo velata Beatrice la celeste visione da lei avuta, ed i ricevuti vaticini, risorsero le buone donne ivi congregate di dedicarsi a Dio, procurando di ridur in chiostro sacro quel luogo, in cui potessero professare la regola del terzo ordine serafico. Palesarono dunque ai commissari della Vioni le loro brame, e considerando essi, che dopo la deplorabile perdita di Costantinopoli espugnata dai turchi, più non giungevano a Venezia pellegrini per portarsi a Gerusalemme, credettero di ben eseguire, anzi di perfezionare la pia volontà della testatrice, concedendo l’anno 1493 alla Premarina, ed all’altre sue compagne nominatamente il possesso dell’ospitale, da erigersi in monastero del terzo ordine di San Francesco, a condizione però, che una parte dei luoghi restare dovesse sempre riservata al ricovero delle povere pellegrine.
Stabilita dunque così saggiamente la nuova fondazione, pensò Beatrice a cominciar le necessarie fabbriche dalla parte più sacra, dilatando l’angusta cappella, e riducendola a forma di chiesa, in cui per divina ispirazione dispose innalzare la forma del Santo Sepolcro, quale appunto si venera in Gerusalemme. Si ha per costante tradizione, esserne stato in visione dimostrato il disegno alla Beata Chiara Bugni, vergine di esemplare santità, che vestito aveva l’abito fra le prime suore del monastero. Ne prescrisse ella dunque agli operari le regole, e le misure, in seguito di che si osservò con meraviglia, che qualunque volta essi trasgredire avessero le stabilite ordinazioni, trovavano distrutto invisibilmente nella notte ciò che di lor capriccio operato avevano: che però conoscendo esser divino volere, che dipendessero dalla legge della vergine si illuminata, si astennero di indi in poi di operar ad arbitrio.
Sembrerebbe dovere, il dar a questo passo qualche contezza di questa serafica vergine, di cui il Wadingo tesse fra i suoi annali al Tomo XVI la vita, tratta da un mf. del celebre P. Francesco Zorzi minore osservante, e patrizio veneto, che le fu confessore, ma come di troppo si interromperebbe la storia del monastero, così sarà più opportuno riservarsi in fine a dare un breve compendio di sue virtù, e dei mirabili doni, dei quali la ricolmò il Signore.
Frattanto Beatrice, e le devote sue figlie conoscendo che al perfetto compimento dello stato religioso mancava solo la conferma apostolica, ottennero da Alessandro papa VI adì 7 settembre l’anno 1499, di poter ritenersi la casa lasciata dalla Vioni, ed in essa professare la regola del terzo ordine serafico in perpetua clausura, sotto la direzione dei Frati Minori dell’Osservanza, ai quali le consegnò, ordinando il giorno 26 dello stesso mese al guardiano, e ai frati di San Francesco della Vigna, quando ne fossero ricercati, di destinare uno dei suoi frati di lodevole vita per assistere agli spirituali; bisogni delle religiose.
Si soggettarono di mala voglia i frati a tal peso: che però appena spirati tre mesi dalla data del decreto apostolico, implorarono dal pontefice di esserne esentati, suggerendo anche quanto fosse bene il concedere ad uso delle monache la rimanente della casa destinata alle pellegrine, per levare così quegli scandali, che potevano nascere da una tale promiscuità di abitazione. Rimise papa Alessandro l’istanza al patriarca di Venezia Tommaso Donato, e furono poi poste le monache in possesso dell’intera casa; ma dovettero i frati continuare nella spirituale assistenza, finché l’anno 1546 da Paolo III, furono assoggettate all’autorità del legato apostolico dimorante in Venezia, ed indi da Clemente VIII l’anno 1594, più opportunamente ridotte sotto la patriarcale giurisdizione.
Nel mentre però, che si procurava in Roma, e in Venezia l’apostolica confermazione, insorse a turbare la quiete, e il contento delle buone religiose un litigio, promosso loro dal piovano, e dai preti della contigua parrocchiale chiesa di San Giovanni Battista in Bragola, i quali asserendo derivar loro gravi pregiudizi dalla nuova fondazione del monastero, loro si opposero a tutto potere, finché la sentenza dei delegati apostolici nell’anno secolare 1500, rigettate le loro pretese, proseguì felicemente sino; alla sua consumazione l’affare, e furono perfezionate ad uso religioso le fabbriche del monastero, e della chiesa. Per un maggior sacro decoro di questa chiesa, in cui si venerava in figura il Santo Sepolcro del Redentore, volle la divina provvidenza, che arrivasse prodigiosamente al monastero una cassa con entro un simulacro di legno, rappresentante il nostro Salvator morto schiodato dalla Croce, la quale (come ci rapporta la tradizione) in un giorno di furiosa burrasca galleggiando sulle acque urtò replicatamente alle porte del monastero. Scosse dal rumore, degli urti le monache, aperta prima la porta, e poi la cassa ritrovarono con egual sorpresa, e allegrezza il devoto simolacro, che fu da loro riposto sull’altare eretto nella cappella del Santo Sepolcro. Ma altrimenti avendo disposto la divina provvidenza, fu la venerabile immagine nel seguente mattino ritrovata riposta nell’inferiore parte della cappella, ove è il Sepolcro, il che essendo avvenuto replicatamente per ben tre volte, colà la lasciarono, secondo la disposizione del divino volere. A tali prodigi tramandatici dalla locale tradizione aggiunge fede una lunga esperienza di fatto meraviglioso. Perciò le acque false, che secondo lo spirare dei venti alcune volte stranamente gonfiandosi allagano le strade, e si intrudono fino elle case, tosto che arrivano al limitare del sacro luogo, quasiché ne ossequiassero la santità, si fermano, né più osano d’oltrepassarlo.
Oltre però questo sacro decoro, che con somma venerazione viene onorato da ogni ordine di persone, abbonda questa chiesa di altri sacri pegni, conservandosi all’altare maggiore il corpo della martire Santa Aurelia, e molte ossa dei Santi Martiri, gloriosi avanzi delle persecuzioni dei tiranni imperatori romani. Vi si venera pure un osso di Sant’Ilarione abbate, ed un altro di Santo Stefano vescovo di Antiochia e martire, una parte della coscia del celebre martire San Mercurio, ed un osso di San Melitone martire. La più celebre però, perché la più prodigiosa, fra le reliquie, che adornano questa chiesa, è un osso di Sant’Andrea Damasceno, prima monaco in Gerusalemme, poi arcivescovo di Candia, che volò al cielo nell’Isola di Mitilene. Una reliquia del sacro suo corpo andò col progresso del tempo in poter di un veneziano per nome Pietro, che tenendo con poca venerazione in luogo privato un così venerabile tesoro, si sentì Flagellato da Dio nei suoi domestici affari, che di giorno in giorno peggioravano. Comunicò egli ad un prudente confessore le sue angustie, ed eseguì di lui consigli, portando ad una monaca sua zia, nominata suor Marcella, nel monastero del Santo Sepolcro il prezioso pegno, che a lui prima ignoto, fu poi conosciuto essere osso del santo arcivescovo di Candia Andrea, per il di lui nome con lettere greche scolpito in un cerchio d’argento, che circondava la sacra reliquia. Collocata questa poi decentemente nella chiesa, volle Dio rimunerare il pio donatore, a cui di allora in poi andarono progredendo con somma felicità gli affari, che già s’incamminavano all’ultimo eccidio. Molte, e frequenti furono poi le grazie prodigiose, con le quali Dio volle autenticata la sacra reliquia, e manifestato il merito del santo prelato, la di cui intercessione esperimentarono tante volte benefica quelle monache, che ad esso lui con viva fede nelle loro infermità ricorsero.
Si celebra la consacrazione della chiesa nel giorno 14 di novembre, in cui nell’anno 1582, fu solennemente dedicata a Dio sotto il titolo del Santo Sepolcro da Ambrogio Capizzi, arcivescovo d’Antiveri, e primate del Regno di Servia.
Dopo la Beata Beatrice Veniero, che fu da Dio dopo la sua morte illustrata con miracoli, come l’attestano gli scrittori francescani, resse il monastero la Beata Chiara Bugni vergine estatica, le di cui mirabili virtù, e fatti prodigiosi furono in lingua Italiana prolissamente descritti dal p. Francesco Giorgio patrizio veneto, e dottissimo scrittore fra i Minori Osservanti. (1)
Visita della chiesa (1733)
Nella cappella maggiore vi fono due quadri di mano di Leandro Bassano, nell’uno gli Apostoli portano la Vergine a seppellire, nell’altro la ripongono nel sepolcro. Nella tavola poi dell’altare vi è l’Assunta opera del Palma. Sopra l’altare dalla parte delle monache vi è un quadro della presentazione al Tempio di Maria, opera di Santo Peranda. (2)
Altre notizie storiche
Parte della chiesa era occupata con una specie di grotta (anno 1484), sotto la quale si vedeva un sepolcro in sembianza di quello di Gerusalemme non meno che un altare ricco di eletti marini e sostenuto da quattro angeli, dove in seguito si è collocò la prodigiosa immagine di un Crocifisso. Da quel sepolcro ricevette appunto il proprio titolo questa chiesa.
Il fabbricato del monastero situato al sinistro lato della chiesa, ed avente la porta fatta sul disegno di Alessandro Vittoria, si andò a mano a mano dilatando, intanto che la chiesa medesima sofferse qualche variazione, accrescendosi di altri due altari e ricevendo qualche onorata memoria. Tra le altre, dall’uno e dall’altro lato dell’anzidetta grotta, furono poste due statue; l’una a Giambattista Peranda filosofo e medico nobilissimo morto nel 1586, e l’altra a Girolamo Contarini, figlio di Marc’Antonio, che fu due volte capitano di galera, e nel 1571 fu uno dei deputati alla guardia dei nostri lidi per timore dei turchi. Creato l’anno appresso procuratore di San Marco in compenso degli esborsi pecuniari fatti nella guerra turchesca, difese Cipro dai pirati e di 56 anni morì nel 1577.
Al lato destro poi della chiesa vi è tuttora una casa di mediocre grandezza che turrita era anticamente e che fu l’albergo assegnato dalla repubblica a Francesco Petrarca, quando, a nome dei principi di Milano venuto ambasciatore in Venezia, le fece dono di quei libri di cui si è parlato in questo tomo. In seguito si fece servire di abitazione; al confessore delle monache del Sepolcro. (3)
(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).
(2) ANTONIO MARIA ZANETTI. Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia ossia Rinnovazione delle Ricche Miniere di Marco Boschini (Pietro Bassaglia al segno di Salamandra – Venezia 1733)
(3) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).
FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.
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