Chiesa e Monastero di Sant’Antonio Abate

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Chiesa di Sant'Antonio Abate. Sestiere di Castello (foto dalla rete)

Chiesa di Sant’Antonio Abate. Monastero dei Canonici di San Salvatore e Ospedale dei marinai. Chiesa, Monastero e Ospedale demoliti

Storia della chiesa, del monastero e dell’ospedale

In quell’estremo angolo della città, che per esser posto dirimpetto all’Isola di Sant’Elena, si chiamava punta di Sant’Elena, concesse l’autorità del maggior consiglio nell’anno 1334, uno spazioso tratto di palude a Marco Catapan, e Cristoforo Istrego abitanti in Casello, con obbligo di riempierla di terra nello spazio di tre anni, sicché si rendesse abitabile.

Adempirono l’assunto obbligo i due cittadini, e Cristoforo Istrego avendo poco dopo sopra il terrapienato fondo costruita una casa di legno, l’offrì in libero dono a Goto degli Abbati fiorentino, priore nella congregazione dei Canonici Regolari di Sant’Antonio di Vienna, affinché in essa fondasse una chiesa, e monastero, sotto l’invocazione del santo abbate suo particolare protettore.

Accettò il priore la pia offerta, ed ottenutane prima la permissione da Niccolò Morosini vescovo di Castello, dispose la fabbrica della nuova chiesa, nei di cui fondamenti pose la prima pietra benedetta Stefano dell’ordine di Sant’Agostino, vescovo di Tiro, e vicario generale del soprannominato Niccolò vescovo di Castello, nel giorno solenne di tutti i Santi, correndo l’anno del Signore 1346. Benedisse poi il cimitero, e fece, che il nuovo priore Goto tutto l’aspergesse d’acqua benedetta, essendovi presente alle sacre cerimonie Aimone, maestro generale di tutto l’ordine di Sant’Antonio.

Diedero riguardevoli soccorsi all’intrapresa fabbrica Niccolò Lion procurator di San Marco, e la famiglia Pisana; e ridotta poi a compimento la chiesa, ne eresse l’esteriore facciata di ben lavorati marmi Pietro Grimani cavaliere gerosolimitano, e gran priore d’Ungheria, figlio di Antonio già doge di Venezia.

Convien credere, che non molti anni dopo la fondazione del monastero, i canonici introdotti o l’avessero abbandonato per la tenuità delle rendite, o si fossero in tale maniera rilassati nella regolare disciplina, che vi fosse necessaria una mano forestiera per governarli; si legge nei pubblici registri, che dal senato fino prima dell’anno 1338 era stato destinato al governo del Monastero di Sant’Antonio di Vienna, Antonio Gallina monaco di San Benedetto nel Monastero di San Giorgio Maggiore. Dagli stessi registri si rileva pure l’antica consuetudine di lasciare, sotto pretesto di riverenza al santo abbate, vagare per la città alcuni porci, che erano poi un particolare provento del priore; ma come da ciò, oltre il deturpamento della città, ne nascevano gravi disgrazie, massime nei teneri fanciulli, così comandò risolutamente nel giorno 10 di Ottobre dell’anno 1409, la suprema autorità del maggior consiglio, che fosse, interamente tolta una tanto abominevole costumanza.

Frattanto il sacro luogo sotto l’amministrazione dei priori andava risentendo ogni giorno maggiori discapiti: onde il senato, che già sapeva la necessità dei canonici regolari di San Salvatore, che ridotti in olto numero mal potevano capire nell’angusto monastero di San Salvatore di Venezia, concesso loro non molti anni prima dalla liberalità del pontefice Eugenio IV, deliberò d’impetrare dall’apostolica autorità nell’anno 1471, che il Monastero di Sant’Antonio abbate, detto di Vienna, assegnato fosse alla congregazione dei canonici regolari di San Salvatore, carissimi allora alla città per l’esemplarità dei loro costumi.

Accolse Sisto IV, che di recente era stato eletto pontefice, le premure del senato, e permise che il veneto monastero di Sant’Antonio unito fosse, concesso alla congregazione dei canonici regolari di San Salvatore; per la diligenza dei quali non solo furono ristabiliti i cadenti edifici, ma la chiesa ancora ne ricevé copiosi abbellimenti per l’erezione magnifica di molte cappelle, ed altari, che l’adornano. Fra questi è mirabile l’altare de diecimila martiri crocifissi, non solo per l’arte meravigliosa, con cui espresse in pittura Vettor Carpazio la loro passione, ma per il motivo della di lui erezione, quale secondo che si legge nei registri dal monastero, fu questo.

Dirigeva nell’anno 1511 il Monastero di Sant’Antonio di Castello Francescantonio Ottoboni: allorché nel giorno 10 di giugno arrivò dal territorio di Vicenza in Venezia, con qualche principio d’infermità, uno dei canonici chiamato Giannandrea da Venezia, il quale dopo avere dimorato per un giorno nella canonica di San Salvatore, si portò al monastero di Sant’Antonio. Ivi caritatevolmente accolto si sentì aggravare dal male, che scoperto d’epidemia lo levò in tre giorni dal mondo.

Risaputo il caso dal magistrato preside alla pubblica sanità, fu sequestrato il monastero; onde i religiosi angustiati e dalla ristrettezza dei viveri, e dal pericolo dell’orribile male, altro non seppero fare che con le più fervorose preghiere implorare in soccorso dell’afflitto loro stato la divina misericordia. Sovvenne questa alla mancanza degli alimenti per mezzo dei pii benefattori, uno dei quali suggerì loro il ricorrere all’intercessione dei diecimila martiri Crocifissi.

Mentre dunque tutti i religiosi ne chiedevano il patrocinio, il priore, che nel suo privato oratorio con vive lagrime orava, fu sorpreso dal sonno, nel quale gli parve vedersi prosteso avanti l’altare del santo titolare, ove mentre rinnovava le sue suppliche, sentì aprirsi le porte della chiesa, che tosto fu riempita da una moltitudine di soggetti, i quali coronati egualmente, e con una croce sulle spalle, andavano a due a due processionalmente seguendo un grave personaggio, vestito pontificalmente, che arrivato al mezzo della chiesa diede in maniera pontificale la benedizione, e poi con tutta la sua comitiva disparve; e fu creduto poi essere stato l’apostolo San Pietro, di cui correva quel giorno l’ottava.

Parve dopo ciò al buon priore di sentir dall’immagine del santo abbate titolare uscir una voce, che l’assicurava, essere il monastero reso salvo dai pericoli del morbo epidemico per l’intercessione di quei santi. Svegliato il priore convocò a se i canonici, e raccontò loro l’avuta visione, di che ringraziando essi Iddio Signore, stabilirono di voler in avvenire celebrare perpetuamente solenne nel giorno 22 di giugno la festa dei santi martiri, ad onore dei quali Ettore Ottoboni, nipote del priore, eresse il magnifico altare. Fu poi nell’anno susseguente lo stesso altare consacrato da Antonio Contarini, prima canonico regolare di San Salvatore, e poi patriarca di Venezia, che nella mensa mise una particella del legno della Santissima Croce con alcune reliquie degli stessi santi martiri crocifissi.

Altre insigni reliquie erano decorosamente custodite in questa chiesa, di cui formano il più prezioso ornamento, e sono: Una mano incorrotta di Sant’Antonio abbate, coperta di carne e pelle, e mancante di alcuni articoli delle dita. Una gamba e piede incorrotti del Santo profeta e martire Geremia. Un osso del braccio di San Bartolommeo apostolo. Un osso del braccio di San Matteo Apostolo. Un osso del braccio di Santa Margherita vergine e martire. Un osso del braccio di San Pantaleone martire. Un dito di San Magno vescovo e confessore. Due denti di San Mercurio martire, un articolo delle dita di San Bernardo abbate, e due tese delle sante vergini compagne di Sant’Orsola nel martirio. (1)

Visita della chiesa (1733)

A mano sinistra nella cappella di Casa Lando vi è la tavola con la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli, opera di Marco di Tiziano. All’altar della Madonna di sopra in mezzaluna il Padre Eterno con alcuni Cherubini è di mano di Santo Croce. All’altare dei santi vi è la tavola di Pietro Malombra con Santi Catterina, Agnese, ed un santo vescovo; cappella di Cà Malipiero. Nella cappella appresso la sacrestia la tavola di San Michele è di Pietro Mera. All’altare di casa Querini la tavola con lo sposalizio della Vergine è di Giacomo Palma. Segue l’altare di casa Ottoboni con la tavola di Vittore Corpaccio, che rappresenta il martirio di diecimila martiri cosa rara fatta nel 1515. All’altare di Cà Capello vi è una tavola di Bonifazio, in aria la Madonna con diversi angeli, abbasso i Santi Nicolò, Stefano, e Domenico. Vi sono poi sopra i capitelli delle colonne intorno la chiesa vari quadretti con figurine rappresentanti la vita di Sant’Antonio abbate ed altro; opere assai antiche e sembrano per quello, che si può da lungi giudicare, fatti a tempera. (2)

Eventi più recenti

Goto, o Giotto, degli Abati, priore dei Canonici Regolari di Sant’Antonio Abate di Vienna in Francia, edificò nel 1346 una chiesa ed un convento in onore del santo suddetto, che furono quindi compiuti dalle famiglie Lioni, Pisani e Grimani, e che nel 1471 passarono dalle mani dei Canonici Regolari di Sant’Antonio in quelle dei Canonici Regolari di San Salvatore di Venezia. La religiosa comunità di Sant’Antonio di Castello andò soppressa in virtù della legge 7 settembre 1768. Allora la chiesa si fece uffiziare da un cappellano, ed il convento, divenuto di jus pubblico, servi ad usi diversi, fra cui nel 1787 all’istituto di Luigia Pyrcher Farsetti, ove si raccoglievano e si istruivano nell’arte del filare e del tessere ben 70 povere figlie della Città. Servi in epoca successiva ad ospitale pei soldati feriti, finché, unitamente alla chiesa, dovette nel 1807 cadere per lasciar libero lo spazio al tracciamento dei Pubblici Giardini.

Nella chiesa di S. Antonio, architettata da Giacomo Lanfrani, ricca di dodici altari, ed abbellita da pitture del Carpaccio, del Bonifazio, di Marco Vecellio, del Palma il Giovane, del Malombra, del Mera ecc., scorgevano i monumenti di Vittore Pisani, di Nicolò Cappello, degli Ottoboni, del doge Antonio Grimani, di Pietro Pasqualigo, e del doge Pietro Lando. Tali pitture, e tali memorie in gran parte andarono disperse, ed ih parte salvate. Ancora nel mezzo dei Giardini sorge un grandioso arco, lavoro come si crede, del Sammicheli, che era all’ingresso della cappella Lando nella chiesa di Sant’Antonio, e che, dopo aver giaciuto per 15 anni in pezzi al suolo, si ricostrì nel 1822. E nel recinto dei Giardini vi era, ancor poco tempo fa, un grosso capitello di colonna, che risale all’epoca della fondazione della chiesa medesima, avendo l’iscrizione: Frater Gotus primi’s prior, e che oggidì si conserva nel Civico Museo. (3)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ANTONIO MARIA ZANETTI. Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia ossia Rinnovazione delle Ricche Miniere di Marco Boschini (Pietro Bassaglia al segno di Salamandra – Venezia 1733)

(3) GIUSEPPE TASSINI. Edifici di Venezia. Distrutti o vòlti ad uso diverso da quello a cui furono in origine destinati. (Reale Tipografia Giovanni Cecchini. Venezia 1885).

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