Renieri Zeno. Doge XLV. Anni 1252-1268
I quarantauno elettori del nuovo doge si presentarono alla generale concione adunata nella chiesa di San Marco, il dì 25 gennaio 1253, per pubblicare l’eletto. Sennonché, prima di venire a questo atto solenne, fu ordinato che il gastaldo ducale dovesse giurare, in nome del popolo, di riconoscere doge colui, che gli elettori annunziassero scelto da loro, giusta li capitolari approvati nella pubblica concione. Ciò eseguito, Pietro Foscarini, uno degli elettori, annunziò la nomina di Rimero Zeno, che allora si trovava podestà a Fermo nella Marca. Approvata dal popolo la scelta, si mandò tosto a levarlo, e fu ricevuto con grande festa dalla città, assumendo egli il dì 18 febbrajo, secondo il Caroldo, o il 28 del mese stesso, giusta il Sanudo, la suprema carica concessagli dalla patria, la quale solennizzava l’avvenimento con una giostra stupenda.
Doveva però riuscire il ducato dello Zeno fecondo di guerre, atteso lo sconvolgimento in cui si trovavano Europa ed Asia. E prima chiamavano i Veneziani alle armi i crudi atti di Ezzelino da Romano, il quale continuava più sempre a inferocire nella Lombardia, siccome ghibellino; per cui papa Alessandro IV bandiva contro di lui una crociata, alla quale, nel 1256, prese parte Venezia. Nelle battaglie combattutesi perdette Ezzelino dapprima Padova, Cittadella, Este ed altre terre; poi, ferito e caduto prigione, moriva a Soncino il dì 27 settembre 1259. Il di lui fratello Alberico, che erasi fatto tiranno di Treviso, espulso per forza da quella città, si chiuse nel castello di Santo Zenone; ma dopo sei mesi di assedio, tradito dai suoi, cadde con tutta la famiglia in mano di Marco Badoaro, podestà di Treviso, che ne ordinava l’intero sterminio e la distruzione del suo castello.
Durante quella guerra un’altra se ne combatteva in Oriente contro i Genovesi, la quale sorse da lieve cagione, vale a dire, per lo possedimento esclusivo, preteso dai Veneziani e dai Genovesi, della chiesa di Santo Sabba in Acri. Come si ruppe cotesta guerra, i fatti che accaddero, la vittoria che riportarono i Veneziani, ciò tutto potrà leggersi nella illustrazione della Tavola CLXXX, recante l’incisione del dipinto posto nel soffitto della sala dello Scrutinio, ove, da Francesco Montemezzano, veniva espressa quella vittoria.
Ad attutar le ire fra le due repubbliche si interponeva papa Alessandro IV; ma quantunque venissero, per i loro legati, a giurarsi pace in Viterbo alla presenza dello stesso Pontefice, che l’aveva promossa, pure non doveva durar lungamente; poiché non era spento, in quella di Genova, il desiderio di lavare la vergogna contratta nel porto d’Acri.
Tre soli anni passarono da quella pace, ed i Genovesi colsero occasione di romperla, allorché Michele Paleologo volse l’animo a cacciare i Latini da Costantinopoli, ove i Veneziani avevano larghissimi possedimenti. I Genovesi quindi, celatamente da prima, poscia all’aperto, aiutarono in quella impresa Michele; ed allorché egli vi riusciva, ottenevano in premio doni e privilegi sopra ogni altra nazione. Da quel punto arse più che mai la guerra fra le due rivali repubbliche; e quanto accadde dappoi, fino alla terribile battaglia datasi sul mare, fra Trapani e Masara, dalle due flotte nemiche, compiuta con la vittoria conseguita dai Veneziani, dicemmo già nella illustrazione della Tavola CLXXXI, mostrante il dipinto di Camillo Ballini, che la figura, collocato nel soffitto della sala ora detta.
La sconfitta toccata dai Genovesi fece che Michele Paleologo mutasse modi con la Repubblica, alla quale inviava, per trattare concordia, Enrico Trevisan, già da lui temuto cattivo. Dopo molto discutere in senato, parve ai padri utile consiglio accettarla; e per conchiuderla definitivamente, spedirono a Costantinopoli, siccome ambasciatori, Marco Bembo e Pietro Zeno. I quali riuscivano a stipulare, il di 4 aprile 1268, a condizioni vantaggiose, una tregua duratura cinque anni.
Anche Alessio Calergi, che tenuto aveva Candia agitata per il corso di diciotto anni, venne finalmente a pace colla Repubblica, la quale, col mezzo di Vitale Michieli, duca allora in quell’isola, gliela offerse a buone condizioni, che, accettate da lui, le mantenne fedelmente, in guisa da meritar poscia di essere ascritto, unitamente ai suoi parenti, al patriziato.
In mezzo a tante guerre e commovimenti, se nullo vantaggio otteneva in allargare
il dominio la Repubblica, anzi se perduto aveva la parte sua nel greco impero, pure ampio accrescimento conseguiva nei commerci per i trattati. E prima, venuta era in possesso di Curzola, isola della Dalmazia, per opera di Marsilio Giorgio, o Zorzi, podestà di Ragusi; ed avendo pei propri uffici riconciliato il patriarca di Aquileja, Gregorio di Montelungo, coi Friulani, otteneva nuovo trattato nel 1254, per il quale, oltre che a tener sempre un proprio visdomino in Aquileja, aveva a godervi ogni vantaggio di commercio, l’uso dei propri pesi e delle misure, la facoltà di portar sale a Cividale e la libera estrazione dei grani. Coi Pisani aveva, nel 1257, rinnovato le convenzioni, e concertato la comune difesa dei propri possedimenti in Levante contro i Genovesi. Aveva conchiuso trattati di commercio con Vicenza e con Fermo (1260): accettata la dedizione formale di Parenzo, e mandatovi podestà Giovanni Cappello (1261): fatto nuovo trattato col sultano d’Aleppo, per opera dell’ambasciatore Giovanni Sagredo (1264): convenuto con Treviso, fra le altre cose, che vi sarebbero ivi giudici appositi veneziani, e che libero sarebbe il passaggio senza dazio di transito delle merci dirette in Germania ed in Francia (1265): e da ultimo con Milano (1268) ed altre città varie convenzioni stabiliva di grandissima utilità pel commercio medesimo.
Che se alle cose esterne pensava la Repubblica, anche in riguardo alle interne, ducando lo Zeno, curava di provvedere. Ed intanto s’instituivano nuovi magistrati per l’amministrazione sollecita della giustizia, e per il buono andamento della pubblica cosa. Primo di essi fu il magistrato del Mobile, stabilito nel 1255, affine di sollevare gli altri due magistrati del Proprio e del Petizion. Giudicava delle cose mobili e delle carte di credito, fino al valore di cinquanta lire veneziane, pari allora a ducati, come dal decreto del Maggior Consiglio del 1360 s’ impara. In seguito fu delegato ad esso anche il diritto di sentenziar a legge, ossia, di far eseguire i testamenti, i chirografi ed i contratti di nozze, sottoscritti da due testimoni; e poscia ancora furono allo stesso magistrato affidati altri incarichi, ad alleviamento dell’altro del Petizion. L’anno seguente, 1256, s’instituirono i tre provveditori del Comune, ai quali spettava, fra le altre cose, invigilare sul traffico e sulla mercatura, vale a dire, il regolare ed ordinare il buon ordinamento delle mercature dei mercanti, e dei navigli che entrano in Venezia ed escono, e di qualsivoglia genere di negoziazione tanto marittima che terrestre. Altri carichi, in seguito, furono addossati a questo magistrato, in riguardo alle consorterie delle arti, alle fabbriche ed alle strade, ce, come si può vedere nel Sandi e nel Ferro. Nel 1259 ebbero origine i Visdomini alla Ternaria, che, quattro di numero, intendevano ad imporre ed esigere le pubbliche gravezze per l’ingresso e per lo consumo dell’olio, della legna e delle grascie; ed in seguito ebbero anche altre incombenze, e per la copia degli affari diviso in due. Si aggiunsero, nel 1261, ai tre giustizieri altri tre già esistenti, distinguendoli in giustizieri vecchi e nuovi, affinché più sollecitamente fossero trattati gli affari concernenti alle arti. L’anno appresso si aumentò, per la causa stessa della sollecitudine nella giustizia, il magistrato dei Signori di Notte al criminale, stabilendolo di sei nobili, uno per sestiere della città: e nel 1264 si diede sistema al magistrato dell’Avvogaria, d’ignota ed antichissima istituzione. Finalmente furono, nel 1208, instituiti i tre Visdomini al fondaco dei Tedeschi, i quali dovevano invigilare sulle merci e sul traffico dei Tedeschi dimoranti in Venezia, e che avevano nel fondaco stesso il lor domicilio. Alla istituzione delle accennate magistrature seguiva di pari passo lo abbellimento della città. Rinnovavasi, innanzi tratto, il ponte di Rialto, il quale, da prima, era formato sopra barche, ed si appellava del quartarolo, perché appunto si pagava quella moneta per valicarlo: si fondava quindi sopra pali, e quale si vede espresso nel dipinto di Vittore Carpaccio, esistente ora nella Pinacoteca della regia Accademia di Belle Arti, figurante un miracolo operato dalla SS.ma Croce. Si dava mano a lastricare le strade, e si faceva il selciato della piazza di San Marco. Si restaurava, o meglio, si accresceva, da Luigia contessa di Prata, moglie del doge, lo spedale di San Marco, già fondato dal santo doge Pietro Orscolo. Si murava il tempio di Santa Maria dei Frari, la cui prima pietra era già stata posta il dì 3 aprile 1250 dal cardinale Ottaviano. Si erigeva, coll’oro del doge, il monastero della SS.ma Trinità, dove poi sorse la chiesa di Santa Maria della Salute, concedendolo egli, con ricca dotazione, ai cavalieri teutonici; ed altre nuove fabbriche sorgevano di questi tempi in Venezia, venuta floridissima per la estensione dei commerci, e sì che il cronacista Martino da Canale, della magnificenza di lei ne fece testimonianza larghissima.
Dopo di aver retto saggiamente la Repubblica, doge Zeno, per il corso di anni quindici, cinque mesi e dodici giorni, venne a morte il dì 7 luglio 1268, e con ogni splendidezza di funebre accompagnamento, secondo narra il cronacista ultimo citato, otteneva sepoltura nel tempio dei Santi Giovanni e Paolo, senza epigrafe, indicando il suo monumento un basso rilievo figurante il Salvatore in trono sostenuto da due angeli, bassorilievo che venne poi affisso alla parete destra entrando dalla porta maggiore.
Al tempo dello Zeno furono instituite le prime due grandi confraternite della Carità (1260) e di San Giovanni Evangelista (1261); e venne, da Marco Bollani, abate di San Giorgio Maggiore, concessa l’isola, posteriormente appellata di Santa Maria della Grazia, a frate Lorenzo, rettore dell’ospitale della casa di Dio, affinché fondasse ivi unricovero per i viandanti (12 ottobre 1264).
Notano anche le vecchie cronache, accaduto, nel 1259, un orribile turbine, che rovinò molte fabbriche; e nel 1263 avere infierito la peste.
Il breve che si svolge oltre la destra spalla del ritratto dello Zeno, dice:
EX ACRE PVLSOS GENVENSES DAT MVRE VICTOS. (1)
(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI
FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.