Ponte de la Verona, sul Rio Menuo o de la Verona. Calle de la Verona
Ponte in pietra; struttura in mattoni e pietre, bande in ferro a meandri. Su un fianco del ponte, al centro dell’arco, è riportata la data 1864. (1)
Sul piazzale del Ponte de la Verona, nella parrocchia di Santa Maria Zobenigo, si ammira a destra sul rio il palazzo Mora, ora Marcello, con facciata archiacuta del secolo decimoquinto, e più in fondo, all’imbocco del rio il bel palazzo quattrocentesco, attualmente sede della Congregazione di Carità e chiamato dal “Bovolo” dala famosa “scala a chiocciola“, che sorge nel suo cortile, caratteristica costruzione lombardesca di Giovanni Candi, architetto veneziano e proto dei carpentieri del nostro Arsenale nella prima metà del Cinquecento.
Il ponte ebbe il suo nome da una locanda che nel 1740 si chiamava della “Verona“, condotta da un tale Pellegrino Mandelli, attigua al ponte, e che dava alloggio specialmente ai cittadini di Verona, ospiti della Serenissima o per affari commerciali o per sollazzo nelle feste e cerimonie di quell’ultimo secolo.
I veronesi erano stati sempre amici fedeli dei veneziani fin dai primi tempi, tanto che Notterio II, vescovo di Verona, nel suo testamento fatto l’anno 921 aveva lasciato al monastero di San Zaccaria certi possedimenti in quel di Monselice, e Martino Scaligero, vicario veronese, regalava nel 1334 alla chiesa di argenti e reliquie per un valore non indifferente, così che i cittadini di Verona erano quasi per tradizione accolti con gran simpatia nella Dominante, e la locanda intitolata alla loro città era sempre piena di folla che veniva dalla terra scaligera.
Anticamente il Ponte de la Verona si chiamava del “Tintor“, mentre la calle adiacente era conosciuta sotto il nome di Calle de la Scoleta, per la vicinanza della Scuola di Santa Maria della Giustizia, ora Ateneo Veneto. Si trova nei Registri dei Provveditori di Comun che “il ponte di pietra denominato della Verona, dalla locanda ivi aperta, nella contrada di san Fantino, venne rifatto tutto al di sopra et aggiustato in gran parte al di sotto in ordine alla terminazione 22 dicembre 1758“, e in quella occasione, racconta un codice Marciano, anche l’albergo “venne restaurato et era così decente nelle camere, nei letti, nelle biancherie, e così pulito nella cucina che la fama corse pure in terraferma et era frequantatissimo da molti personaggi“.
Poco discosta dal Ponte de la Verona sorge in fianco della chiesa di San Fantino la monumentale sede dell’Ateneo Veneto, originariamente Confraternita di Santa Maria della Giustizia, i cui confratelli accompagnavano al supplizio, in cappa nera, i condannati a morte, recando loro assistenza e conforto religioso; di qui il nome alla Confraternita di “Scuola dei Picai” o “della Buona Morte“. Fra la Scuola e l’albergo della Verona sorgeva nel 1784 una vecchia casa di proprietà di due sorelle Vidoni che vi abitavano, belle cortigiane e molto conosciute a Venezia per il loro lusso e la loro giocondità.
Fra la Confraternita e le due cortigiane si accese nel maggio del 1786 una curiosa lite per ragioni possessorie, e nel giorno della discussione della causa alla Quarantia civile, comparve nel pomeriggio sui muri della città il segente epigramma: “Gran sussurro, gran schiamazzo / Xe sta fatto ancuo a Palazzo, / Tra la scuola dei Picai / E la casa dei Pecai“. Vince la casa dei “Pecai“, e la sentenza fu fatta a favore delle peccatrici Vidoni, la due belle sorelle che sebbene cortigiane erano molto più simpatiche che non i lugubri confratelli della Scuola di Santa Maria della Giustizia.
Il Ponte de la Verona e la famosa locanda che gli aveva dato il nome ebbero nel 1796 alcune settimane di celebrità: a Verona, fuggito dalla Francia, si era ricoverato il fratello del povero re ghigliottinato Luigi XVI, e la Repubblica, sebbene l’ospite non fosse molto desiderato, pure lo lasciava tranquillo.
Ma i legittimisti francesi non davano pace al pretendente al trono di Francia e proclamatolo a Verona, con funzione solenne, re Luigi XVIII si cominciò a congiurare per rimetterlo sul trono, e la locanda al Ponte de la Verona divenne un’asilo per alcuni congiurati che spettavano di avere l’appoggio, almeno tacito, della Serenissima.
Speranza fallaci: la Repubblica non voleva nei suoi Stati né sette né fazioni contro una nazione alleata; la locanda d’ordine del Consiglio dei Dieci venne chiusa per alcuni giorni, e si mandò a Verona al pretendente Luigi l’ordine di partire immediatamente dal territorio di San Marco. Il decreto di espulsione fu dato ad un corriere speciale chiamato Marco Nullo, di origine bergamasca, e quando si seppe a Venezia il fatto, corse per la città il solito epigramma che in quel tempo era quasi sempre il riepilogo umoristico di qualsiasi avvenimento veneziano: “Parte Nullo ed annuncia che si annulla il regno di Verona al re del nulla“.
Anche quando venne chiusa la locanda, due anni dopo la caduta della repubblica, rimase al ponte il suo nome, ma ormai gli anni splendidi per guadagni erano spariti e il figlio di Pellegrino Mandelli lasciò il suo albergo senza rimpianto per godersi in pace in una casetta sulle rive del Brenta i risparmi che il padre aveva accumulato.
Da quel giorno fino alla guerra mondiale il Ponte de la Verona ebbe una vita tranquilla, fu restaurato alcune volte, fu ampliato anche, ma nella grande guerra ebbe il suo momento di trepidazione; una bomba, nelle frequenti incursioni aeree nemiche sulla gloriosa città, cadde vicina al ponte, abbattè una casa, però il vecchio Ponte de la Verona rimase illeso. (2)
(1) ConoscereVenezia
(2) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 11 settembre 1933
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