Ponte dei Lustraferi, sul Rio dei Lustraferi

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Ponte dei Lustrafei, sul Rio dei Lustraferi. Sestiere di Cannaregio

Ponte dei Lustraferi, sul Rio dei Lustraferi. Fondamenta dei Ormesini – Fondamenta de la Misericordia

Ponte in pietra; struttura in mattoni e pietre, bande in mattoni intonacati. (1)

Quasi accanto al vecchio palazzo Castorta, tra la Fondamenta de la Misericordia e la Fondamenta dei Ormesini, sorge il Ponte dei Lustraferi, che porta il nome da alcune botteghe che stavano vicine al ponte, dove si dava il lucido ai ferri, “se lustravano con elementi chimici facedoli rilucere“, specialmente i famosi ferri che adornavano le gondole.

Era un’arte povera composta di appena una trentina di lavoranti e di alcuni grazoni, ma il patrizio Marco Moro della contrada di San Girolamo, che ammirava la indefessa attività di quelli buoni lavoratori, aveva ragalato loro un altare nella Chiesa della Madonna dell’Orto e una casetta per le loro adunanze. Il maggior lavoro della piccola confraternita era dato dai ferri delle gondole che venivano tolti dalle botteghe dei fabbri tutti opachi, imbrattati e nerastri, e uscivano poi dalle botteghe dei lustraferi lucidi cone specchi, levigati e lisci come lastre.

I ferri delle gondole nel Cinquecento erano uguali tanto a prua quanto a poppa, ambedue i rostri delle due estremità erano carichi di borchie, di piramidi, di fiori e fu questo il periodo più bello dei lustraferi ma poi nel Seicento i ferri vennero sostituiti dal solo rostro di prua, largo piatto come una lama in alto, frastagliato in più denti di sotto che allora erano cinque, come si vede nelle vecchie incisioni di Michele Marieschi, e che ora invece sono sei. Così nel finire del Seicento la gondola che piaceva a tutti per l’eleganza della linea fu portata anche in Francia, sul canale di Versailles, guidata da barcaroli veneziani ma fu una gondola di lusso, nonostante le leggi contrarie, che faceva mostra e pompa di ricchezza nei rostri, nei tappeti, nei cuscini, “nei ferali e porta ferali di getto di spesa trascendente“, nell’arma di ottone che adornava il felze, nelle figure d’argento dorato di cavalli e di mostri marini che reggevano i cordoni dei braccioli e in altri molti ornamenti.

A questa prima trasgressione, passata in silenzio dal Magistrato delle Pompe, trattandosi di gondola destinata in Francia, ripresero coraggio i padroni degli squeri, e fu allora che si misero in cantiere gondole di lusso sempre con quella giustificazione che servivano per altri paesi, ma gli Avogadori che avevano capita l’antifona misero riparo a questa ribellione sorniona, e decretarono che le gondole costruite nei cantieri veneziani, senza eccezione alcuna, dovessero essere fabbricate come voleva la legge, e a tutti i disobbedienti, costruttori e gondolieri, decretava la pena di esser posti per un’ora alla berlina nella Piazzetta fra le due Colonne, e “a servir poi sopra una galera per tre anni consecutivi“.

Così la gondola ritornò al’unico tipo di barca caratteristica coperta di panno nero col suo bel ferro lucente, il suo felze di rascia coi fiocchi di seta pur nera cha al Goethe, nel suo viaggio a Venezia, sembrava una bara, ma nella poesia popolare veniva cantata come una conca d’amore, e talvolta come un talamo di dolci peccati.

I lustraferi che avevano bottega vicina al nostro ponte, furono i primi ad introdurre nei giochi delle Forze d’Ercole una nuova prova di ardimento: un uomo eseguiva un capo rovescio sopra la testa di un altro i cui piedi posavano soltanto sopra i ferri di due gondole insieme appaiate. Era veramente un gioco immensamente difficile, tanto per l’equilibrio del gruppo intero, quanto per la robustezza dei polpacci nel primo uomo che doveva tenersi ritto sul taglio dei due ferri. Per la sua stessa difficoltà venne con entusiasmo adottato dai Nicolotti della contrada di San Girolamo che presto ne divennero maestri, e fu sempre nelle Forze d’Ercole date nel bacino di San Marco il numero più attraente e più applaudito del festante popolo veneziano.

Al Ponte dei Lustraferi abitava nel 1532 quel tale Zuan Guerazi, “gastaldo de li procuratori de Citra“, il quale veiva arrestato d’ordine del Consiglio dei Dieci e chiuso “ne li gabbioni in la Terra Nova” per aver rubato circa seimila ducati della Procuratia. Il 2 aprile, di quello stesso anno messer Guerazi con l’aiuto del figlio e di alcuni amici fuggiva dalle prigioni e riparava nel convento della Carità dal quale, di notte, travestito da pescatore, poteva guadagnare il confine dalla parte di Bergamo.

Marin Sanudo, nei suoi Diari, raccontando la fuga, commenta: “Era uomo di sessanta anni et saria morto in preson perché non havia da pagar li seimila ducati che ruboe“. Gli Avogadori pubblicarono subito a Rialto e a San Marco che il fuggitivo si presentasse a loro fra otto giorni “se no se procederà contro de lui, la sua absentia non obstante“.

Difatti il 18 aprile usciva la sentenza con la quale il colpevole veniva bandito “di terra et lochi di questa città, navigli armadi et disarmadi con taia di lire doimila et essendo preso in mezo le do colene sia apichado per la cola. Ma se termine uno mese verà a pagar quanto l’haveva tolto con il quarto più per pena, sia solum bandito da Venezia e dil distreto“.

Zuane Guerazi non venne, e si seppe solo che il 3 settembre per gli strapazzi della fuga e per una malattia che lo minava, era morto in pochi giorni in un piccolo paese del bergamasco.

Il Ponte dei Lustraferi per parecchi anni rimase sempre di legname, poi fu costruito di pietra senza le spalette, e finalmente nel 1785 venne rifabbricato quasi nella forma attuale; il suo nome ricorda ancora l’antica arte dei lustraferi, arte sparita con la caduta della Repubblica e assorbita dai fabbri, i quali davano completo e finito il ferro caratteristico delle graziose gondole veneziane. (2)

(1) ConoscereVenezia

(2) Giovanni Malgarotto. Il Gazzettino. 15 gennaio 1934

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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