Il Doge o Gastaldo Grande dei Nicolotti
Il popolo lo aveva battezzato per il “Doge dei Nicolotti“, ma nei vari documenti è sempre chiamato il “Gastaldo grande dei Nicolotti“.
Quando nel 1297 l’aristocrazia ereditaria rimase sola signora della Repubblica, si volle lasciare al popolo almeno un’ombra di rappresentanza creando il “doge dei Nicolotti“. Era questo una carica che offriva parecchi privilegi e pochissima autorità, ma di quei privilegi ne andava contento il popolo, poiché in essi vedeva una tacita amicizia dei grandi signori verso di loro che erano pur nati e cresciuti sotto l’egida di San Marco.
Il doge dei Nicolotti, usava nelle pubbliche funzioni un’ampia vesta che era, secondo le stagioni di raso chermisino o di panno scarlato con pelliccia al collo e sulle spalle, usava calze azzurre, scarpe di marocchino, piccola parrucca, berretta da gentiluomo e guanti bianchi. Aveva il privilegio di seguire il doge nello Sposalizio del mare, in una grande barca riccamente addobbata e legata alla poppa del Bucintoro, aveva il diritto di esigere una tassa dalle barche pescherecce della sua contrada e di tener bandiera nel campo di San Nicolò, dirimpetto la chiesa, il suo reddito nel complesso dei privilegi, compreso un banco in pescheria a Rialto ed un altro a San Marco nella pescheria presso la Zecca; aveva i diritti della Pasqua, del Natale e sulle “Comagne” (la pesca dei cefali in pastura); il tutto costituiva un reddito personale di circa lire 1367 annue, che non era poco in quei tempi.
Interessante era la elezione del Doge o gastaldo grande dei Nicolotti che si faceva nella chiesa di San Nicolò. Morto il gastaldo grande, che si seppelliva con grande pompa, i più vecchi della contrada di San Nicolò dei Mendicoli (mendicanti perché abitata in maggioranza da poveri pescatori) si presentavano alla Signoria annunciando di delegare un segretario del Senato a presenziare la nuova elezione.
Nel giorno stabilito le campane di San Nicolò davano i tre segni per la radunanza degli elettori che dovevano essere “solo Nicolotti pescadori, nativi della comunità di san Nicolò e di San Raffaele“. Finito il terzo segno, compariva in chiesa il segretario del Senato seguito dal pievano e dai preti e, contando il “Veni creator Spiritus“, si facevano entrare dalla sagrestia i concorrenti al gastaldato, e dal pulpito ognuno di loro faceva il suo bravo discorso elettorale per assicurarsi favorevoli i voti. Si procedeva quindi alla elezione ed il nuovo eletto veniva condotto sull’altare maggiore dove prestava il giuramento; “Noi, Dei gratia gastaldo grando di san Nicolò e san Raffaele, giuro su questo altare et sugli sacri Evangeli di amministrare senza frode et con bona fede il gastaldato“. Subito dopo si cantava il “Te Deum“, le campane suonavano a festa e il popolo acclamava giulivo.
All’indomani, preceduto da trombe e tamburi e seguito da numerosi elettori, “el dose dei poveri” si recava in Palazzo Ducale a riverire “el dose dei signori“; baciava, al principe la mano e riceveva dalla Signoria conferma della sua nomina.
Il primo doge Nicolotto, di cui si conserva il nome, fu tale Antonio Cebeschini, eletto nel 1328; l’ultimo fu Vincenzo Dabalà, detto “Manestra“, eletto nel 1794 che abitava in Calle dei Remurchianti (ora scomparsa) a San Nicolò, e divenne membro della Municipalità provvisoria istituitasi il 16 maggio 1797 in seguito alla caduta della Repubblica. (1)
(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 14 e 16 dicembre 1924.
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