La famiglia e il palazzo Longo, in contrada di San Marziale, nel Sestiere di Cannaregio
Sulla Fondamenta della Misericordia sorge il vecchio palazzo dei Longo, dalla bella facciata di stile gotico fiorito con ricchi elementi decorativi; splendido palazzo ai suoi tempi, oggi un gran parte devastato specialmente nel suo interno che eccelleva per ricchezza e buon gusto.
La cronaca Savina afferma che i Longo venissero da Trieste, altri cronisti da Rimini nel 1043, ma tutti concordano col dire che nel 1381 furono ammessi al Maggior Consiglio per le molte benemerenze acquistate nella famosa guerra di Chioggia da un Nicolò che teneva spezeria a Rialto all’insegna della “Colomba” e nel suo commercio guadagnava tesori. Fu appunto al figlio di sier Nicolò che si deve la costruzione del palazzo nella parrocchia di San Marziale, volgarmente chiamata “san Marzilian“, sebbene i Longo da molti anni possedessero una casa in quella contrada ma non confacente alla nuova condizione nobiliare della famiglia.
Nella lunga e gloriosa storia della Repubblica il nome dei Longo s’incontra raramente; non si occupavano di politica e vivevano ritirati pur amando la patria di un amore ardente: uno solo tra loro passò alla storia con l’aureola di prode nell’armi e martire della fede.
Venezia nel 1470, era in guerra con la Turchia e il sultano Maometto, dopo aver preso qualche piccola isola ai veneziani, si disponeva ad assediare Negroponte, l’antica Eubea, da parecchi anni fiorente colonia di San Marco. La flotta turca era meravigliosa e Girolamo Longo, sopracomito della galera “Teodora“, veleggiando qualche tempo di conserva coi turchi, scriveva al fratello Andrea: “Erano più che quattrocento vele et il mar parea un bosco, questa a sentirla dire pare cosa incredibile, ma a vederla è cosa stupenda. Non vi meravigliate che il Turco abbia fatto tanto adesso, perché sono diciasette anni fa ogni anno qualche cosa. Vogano benissimo ma con voga spessa, le loro galee non sono si buone come le nostre, ma le vele e tutte le altre cose mi parono migliori delle nostre, a penso che abbiano più uomini sopra che non abbiamo noi“.
Negroponte fu presa dal Sultano, ma Nicolò Canal, generale della flotta veneziana, per la cui colpa e per i mancamenti del quale era avvenuta la dolorosa perdita, formò il disegno di riprenderla e dispose di darvi l’assalto da quattro parti, come narra la cronaca Malipiero, promettendo grosse ricompense ai primi quattro che avessero scalate le mura della città. Impresa fallita; il presidio turco forte di ventimila uomini, sconfisse i veneziani dopo accanito combattimento facendo parecchi prigionieri tra i quali Girolamo Longo.
A Girolamo, uno dei più arditi combattenti, fu promessa salva la vita ed onori se rinegasse la patria e abiurasse la fede, ma il prode non volle rispondendo al sultano: “Sono veneziano e sono cristiano!” e barbaramente venne impalato. Dove fosse sepolto nessuno lo seppe mai, ma in chiesa di San Marziale i parenti gli fecero solenni funerali ai quali intervenne la Signoria col vecchio doge Cristoforo Moro, fu messa una lapide nel secondo altare a destra dell’altare maggiore, sparita nel rifacimento secentesco della chiesa, e così con sier Girolamo fu chiusa la breve epopea della casa dei Longo.
La famiglia parve quasi addormentarsi nel ricordo glorioso del defunto parente e per circa due secoli il nome dei Longo non appare in nessun documento veneziano, solo in un Codice della nostra Marciana si legge sotto la data del 1632 come: “Antonio Longo quondam sier Lorenzo hebbe una stilettata da sier Piero Donà fo de sier Polo, in parlatorio del convento di san Zaccaria, trovato a fenestra da donna Maria Donà quondam Zuane dalle Toreselle, monaca sua morosa, tradito dal Longo“. Quindici anni più tardi, nel 1697, anche un Gaspare Longo venne ucciso in campo di santo Stefano “per causa di giuco dal patrizio Michele Corner della contrada di san Moisè in Frezzaria“. L’uccisore si salvò con la fuga ma dal Consiglio dei Dieci fu bandito in perpetuo.
La famiglia Longo nei primi anni del settecento di divise in due rami: il ramo principale continuò ad abitare nel vecchio palazzo a San Marziale dove si estinse nel 1812 in un tale Mattio quondam Angelo; il ramo cadetto invece comperò una casa sulle Zattere e vi prese dimora, e alla caduta della Repubblica contava tra i suoi discendenti ben sette giovani patrizi dai quindici ai ventidue anni. (1)
(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 11 giugno 1933.
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