L’Osteria del Salvadego, in Bocca de Piazza a San Marco

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Palazzo Avon Caffi già Osteria del Salvadego. Bocca de Piazza. Sestiere di San Marco

L’Osteria del Salvadego, in Bocca de Piazza a San Marco

Una fra le più antiche osterie veneziane era quella situata a San Marco “in chao di Piazza” chiamata qualche volta “del Salvadera“, ma più spesso “del Salvadego” probabilmente dal nome del suo primo proprietario.

Nel secondo secolo dopo il mille la grande affluenza di forestieri nella città delle lagune faceva sorgere parecchi alberghi, nel significato moderno della parola, allora nominali osterie dove si dava alloggio e vitto specialmente ai nobili e ai ricchi, poiché per la gente minuta c’erano le “caneve” e le “taverne” e i poveri trovavano ricovero negli “ospici” del comune e nelle “case di Dio” delle confraternite religiose. L’osteria del Salvadego era tra gli alberghi del trecento, aperti nei due centri di maggior attività commerciale, San Marco e Rialto, uno degli alberghi più ricchi; gran profusione di marmi nelle scale, nelle finestre, nei pavimenti, e sebbene non ci fossero né latrine, né vasi da notte, né stufe, pure nel nostro albergo c’era la gentile consuetudine di abbellire con fiori le stanze, “gramine in camera“.

Lo stabile di questa antica famosa osteria apparteneva alla famiglia cittadinesca Da Zara, forse un rampo lontano della nobile famiglia padovana venuta nella Dominante per ragioni mercantili, ma più tardi venne in proprietà dei patrizi Giustinian giacché in una vecchia cronaca della Raccolta Cicogna del secolo decimosesto, così si legge: “de questa casa fo l’osteria del Salvadego, fo in frezaria, andando a banda zanca, andando al cason, che adesso è de cha Zustinian“.

El cason” era una prigione per i piccoli reati, ma particolarmente per i debitori che non pagavano, imprigionati a richiesta e a spese del creditore, e sorgeva dietro l’osteria, verso l’attuale bacino Orseolo. La Cason di Frezzaria è rimasta celebre nella cronaca veneziana di Giovanni Priuli per la fuga di Alvise Soranzo, uno scavezzacollo pieno di debiti e di marachelle, imprigionato dai creditori e dall’Avogaria, ma liberato nella notte del 20 gennaio 1510 da alcuni patrizi del suo stampo, che ruppero i muri della prigione e fecero fuggire la guardia della Piazza accorsa al rumore.

L’Osteria del Salvadego ebbe parecchi ospiti illustri: nel 1496 cinque lagati della città di Taranto con dieci famigli “et l’ambassera zonse in questa terra con uno naviglio di Monopoli“, per offrire la loro città alla nostra Signoria che però declinò l’offerta per ragioni di politica e di opportunità; nel 1579 prese alloggio l’ambasciatore della Sublime Porta con il seguito di dodici turchi che vollero per loro soli tutto il primo e gran parte del secondo piano dell’osteria e spesero in pochi giorni la bellezza di quattrocento ducati, pagati dalla Repubblica come voleva la tradizione e l’antico costume veneziano.

L’osteria del Salvadego era sempre piena di forestieri, ma con il conduttore Piero Lombardi e i suoi eredi si era andata modificando e seguiva la decadenza dei tempi, tanto che Bartolomeo Dotti, poeta satirico, maligno e mordace, nella sua satira intitolata “Il carnevale“, alludendo alle numerose donne di partito, allora esistenti a Venezia, così conclude: “Se riesce a queste – D’allettar qualche mal pratico – A commetter mille infamie – Lo conducono al Salvatico“. Eravamo allora al principio del settecento e le satire del Dotti che colpivano sodo vizi, corruzioni, depravazioni gli procacciavano molti molti e potenti nemici: fu carcerato, aggredito, ferito e nella sera del 27 gennaio 1713, “a quattro ore di notte“, ignoti sicari in calle della Madonna a Sant’Angelo lo uccisero a colpi di pugnale mentre tornava alla sua casa posta a San Vitale.

L’osteria in quel tempo di dissolvimento era frequentata nelle ore notturne da patrizi e da non poche gentildonne avide di piaceri, tra queste si citano, nei documenti dell’epoca, la bella Margherita Condulmer, moglie del patrizio Giovanni Grassi, la famosa Caternia Dolfin prima di maritarsi con Andrea Tron, l’avvenente e spiritosa Cecilia Tron Zeno e quella Marina Benzon che nella allegra vita veneziana si lasciò andare senza misura ai capricci d’amore, All’osteria del Salvadego facevano i comodi loro, davano la stura alle loro piccanti fantasie di qualsiasi genere nei comodi asili del primo piano, mentre al pianterreno si mangiava, si beveva e si giocava di azzardo.

L’osteria fu chiusa, dopo cinquecento anni di attività, intorno al 1870.

L’edificio nel quale l’osteria aveva sede passò di eredità in eredità nel 1920 al dottor Giuseppe Avon Caffi, il quale nell’intraprendere i lavori di restauro alla facciata, rintracciò sotto l’intonaco la antica architettura dell’edificio, di squisito stile bizantino della fine del duecento, e volle, con nobile pensiero e fine senso d’arte, ridare all’antica casa del Salvadego tutta la sua primitiva bellezza.(1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 16 novembre 1933.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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