La Madonna delle Grazie nella Chiesa di San Samuele, già nella Chiesa di San Rocco e Santa Margherita
Allorchè nell’Oriente con il dilatato dominio si stendeva l’impero greco, si annoverava fra le province ad esso soggette anche il regno del Peloponneso (a quei tempi chiamato di Morea), fra le di cui città principali vi era Sparta, che ridotta poi a ristretto numero di abitanti, ora volgarmente si nonima Mistra. Nella cattedrale di quella città dedicata alla Madre di Dio si venerava una di lei antica immagine, di cui vi era tradizione, essere stata dipinta per mano dell’evangelista San Luca. A questa, come a principale protettrice della loro patria accorrevano nelle pubbliche, e private necessità quei popoli, e nelle grazie prodigiose, che corrispondevano ai devoti ricorsi, si sperimentava frequentemente quanto appresso Dio valga la protezione della gran Vergine. Avvenne poi con il decorso dei tempi, che per giusto giudizio di Dio la Morea tutta inondata dall’armi degli infedeli, ed in quell’incontro funesto restò anche Sparta bruciata, e distrutta, senza sapersi poi cosa avvenuto fosse della venerabile immagine conservata nella cattedrale.
Perduta si era peró ogni speranza di rinvenirla, allorché la divina provvidenza dispose, che presso ad una limpida fonte in un luogo chiamato Zachoma, fosse la sacra pittura ritrovata da una semplice pastorella, che ivi aveva condotto il gregge al pascolo. Si atterrì la buona fanciulla nel veder dopo tramontato il sole risplendere di lucidissimi raggi la prodigiosa immagine, che però scossa appena dal suo stupore corse a manifestare la gran scoperta agli abitanti di quei contorni. Accorsero quelli ben tosto, e fatti testimoni di veduta, venerarono con umiltà il fasto ritratto, e pubblicarono per tutto il regno un beneficio così singolare della divina misericordia. Fabbricarono poi in grata riconoscenza una chiesa nel luogo stesso dell’ammirabile apparizione, chiamandola Santa Maria Ortocasta dal nome, che ella aveva nella cattedrale di Sparta, ed un tal nome appunto si legge fino al giorno d’oggi inciso con lettere greche all’intorno dell’ìmmagine stessa.
Nella nuova chiesa fu per lungo tempo venerata, ed onorata risplendendo sempre con nuovi miracoli, per la fama dei quali andò continuando il concorso dei popoli, massìmamente nei quindici giorni precedenti, ed in altri quindici susseguenti alla solennità di Maria Assunta al Cielo.
Scorsi però molti anni, volendo Iddio puniti i peccati di quel miserabile regno, permise che la fiera nazione dei Turchi, dopo d’essersi impadronita di pressochè tutto l’Oriente, rivolgere l’armi alla conquista della Morea, signoreggiata allora per la maggior parte da principi della casa Comnena. Nel furore della terribile invasone resa quasi universale a quel regno, volle Iddio preservata quella sacra immagine, ed inspirò nel cuore ad un uomo da bene chiamato Protocastora capitano del Despoto, ossa principe del luogo, ed assai devoto di Maria di levar nascostamente la venerabile pittura, e fuggir con essa in Napoli di Romania, per sottrarla alle profazioni degli infedeli. Fu accolta la sacra immagine con giubilo da quei cittadini, che la riposero nella chiesa di San Teodoro Martire, ove stette per qualche tempo, finché da se stessa miracolofamente si transferì alla chiesa dei Santi Apostoli della stessa città, ove continuò pure il concorso dei popoli alla sua venerazione.
Nell’anno poi del Signore 1541 insaziabile ambizione di Solimano gran signore dei Turchi volendosi render padrone dell’intero Regno della Morea, mosse guerra alla Repubblica di Venezia, in di cui potere erano allora le città maritime di Napoli di Romania, e di Napoli di Malvasia; ne fu mai possibile ottener da quel barbaro la pace, se non a condizone di ceder quelle due città all’Impero Ottomano. Era allora afflitta la città di Venezia non solo dal peso della guerra, ma anche da un orribile carestia, onde per non aver a soffrire l’estrema desolazione dei popoli, convenne ceder alla prepotenza del nemico e spedire ordine ai Provveditori delle due infelici città, di consegnarle in potere degli Ottomani. Era allora Provveditore in Napoli di Romania Francesco Barbaro uomo di distinta pietà, il quale prima di consegnare ai commissari Turchi le chiavi della città, levò dalla chiesa dei Santi Apostoli la venerabile immagine di Maria, e collocatala onorevolmente in sua casa, dispose di tradurla in Venezia, ove, venerata fosse con maggior sicurezza , e decoro.
Nella rigorosa penuria dei grani, che allora angustiava la città, si erano ridotte ad estrema angustia le monache di San Rocco e Santa Margherita, le quali incosì grave disagio ricorsero con orazioni, e lagrime alla divina provvidenza per non restar vittime della fame, e moltiplicando con fede le loro fervorose preghiere, meritarono di restare esaudite. Arrivò dunque opportunamente il provveditore Barbaro, ed impaziente di consolare una sorella monaca, di nome suor Cassandra, che egli aveva nel suddetto monastero, a lei spedì tosto, per messo sicuro la prodigiosa pittura, che fu da quelle buone religiose accolta con la più umile riverenza spargendo dolci lagrime di consolazione. Riportata poi all’universale devozione sull’altare maggiore, ne risentirono tosto nelle gravi lor ristretezze un pronto sollievo per le elemosine dei fedeli, che confluirono al soccorso di lor indigenze.
Molte furono le grazie conseguite da chi avanti a quella sacra immagine implorò il patrocinio della gran Madre di Dio, essendosi con stupore dei medici vedute risanare persone da infermità incurabili, e da presente pericolo di morte, onde in dovuta riconoscenza alla celeste benefattrice fu fabbricata una decente cappella, in cui nel giorno 11 di luglio dell’anno 1597, il cardinale Lorenzo Priuli patriarca di Venezia accompagnato da quattro vescovi con religiosa solennità ripose la sacra immagine fra gli applausi d’innumerabile popolo concorso a venerarla .
Una pronta, e prodigiosa assistenza di Maria Vergine provarono poi le monache nei pericolosi incontri di due incendi accaduti negli anni 1743 e 1747, dai quali minacciato essendo di rovina il monastero, all’esporsi di una sacra immagine simile a quella di chiesa, retrocedettero quali respinte da invisibile forza le fiamme, liberando quel religioso recinto dall’imminente pericolo d’un totale sterminio.
Rinovata poi essendosi in più ornata, e maestosa forma la chiesa, ed eretto in essa un nobile altare di scelti marmi, e di eccellenti sculture, fu in esso con solenne processione nel giorno 11 di Luglio dell’anno 1751 con l’intervento del patriarca Luigi Foscari, e con numeroso accompagnamento di clero, nobiltà, e popolo collocata l’ammirabile immagine, verso cui tuttavia continua costante la venerazione del popolo.
Al racconto delle ammirabili vicende di quella sacra immagine, danno autorità l’immemorabile tradizione, e gli antichi registri del monastero. (1)
Avvenuta la soppressione napoleonica, la badessa Maria Indrich donò la sacra immagine a Giovanni Rossi, sacerdote di San Samuele, dove rimase in venerazione. La Vergine, su tavola lignea, col Bambino nella destra, è rivestita di una ricca incamiciatura di argento, che lascia liberi solo i volti. La cornice, eseguita dopo il trasporto a Venezia, presenta nei tre lati, a sbalzo, la serie dei dodici apostoli alternata con le dodici feste bizantine (ne manca una), lavoro di orificeria veneziana del primo Cinquecento, sostitutiva di una più antica, originaria. Nel lato inferiore, della prima metà del Seicento, ci sono due angeli ai lati e al centro la Vergine e il Salvatore. Nel lato superiore, l’Annunciazione e sotto, a sinistra l’immagine di Giovanni Cantacuzeno, figlio di Matteo despota di Mistrà, aggiunta durante il lavoro di incorniciatura dell’icona (1380-1383), forse a sue spese. L’incorniciatura fu restaurata nel 1425 ca., mentre l’icona della Vergine, lavoro monastico molto popolare, dovrebbe risalire al secolo XIII. (1)
(1) Notizie storiche delle apparizioni e delle immagini più celebri di Maria Vergine Santissima nella città e Dominio di Venezia. Venezia 1761.
(2) da un cartello esposta nella chiesa di San Samuele
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