Le monache di Candia
L’Isola di Candia è la maggiore delle sette grandi isole del Mediterraneo ed era venuta in possesso dei Veneziani nel 1204 avendola questi comperata dal Marchese di Monferrato. Povera di grano, ma ricca e feconda di olivi, di viti, di fruta, di pascoli, di ogni specie di erbe odorose e medicinali, per i suoi alti monti sembra una rocca circondata dal mare e conta porti spaziosi e altrettanto sicuri. Per la sua bellezza, ma più specialmente per la sua posizione strategica, i Turchi da lungo tempo accarezzavano l’idea di possederla e fu il Sultano Ibrahim che pensò nel 1647 di dare esecuzione al famoso progetto dei suoi padri.
Il 30 aprile di questo stesso anno usciva dai Dardanelli la fomidabile flotta ottomana composta di ben quattrocento vele con a bordo cinquantamila conbattenti e faceva rotta verso l’Isola di Candia con la speranza di poterla occupar di sorpresa. Ma la Repubblica vegliava e cominciò allora per essa questa sfortunata, ma gloriosa guerra di Candia durata per ventiquattro anni, in cui la Serenissima offrì all’Europa tutta se stessa, le sue galere, il suo tesoro, il suo nobile sangue in olocausto, mentre l’Europa cristiana guardava indiferrente o dava pochi, inefficaci soccorsi, al sacrificio eternamente memorando di Venezia.
In quel succedersi di battaglie e di stragi, sier Andrea Corner, provveditore generale dell’isola, pensò subito di mettere in salvo le monache, le più esposte all’ira e alla crudeltà turca, e con le loro robe che poterono in fretta raccogliere le fece imbarcare su due galere mercantili che salpavano da Ierapetra dirette verso le lagune.
Viaggio di angoscia; erano monache Benedettine, Agostiniane, Domenicane, lasciavano le loro chiese, i loro conventi, i campi e gli orti ubertosi, che forse non avrebbero più riveduto, ma in quel terribile scoraggiamento pensavano con fiducia a San Marco e speravano in lui, unica luce in tanta miseria.
Giunsero a Venezia il 6 novembre 1648 ed erano centoquarantadue tra giovani e vecchie; furono accolte dalla Signoria “con belle e buone parole” e nel pomeriggio di quel giorno il Senato decretava “essendo venute di Candia cento e quarantadue Monache, per loro sostentamento, finchè staranno in Venetia, oltre altri provvedimenti quali saranno presi, tutte le Scuole e Fragie paghino ogni anno, anticipatamente subito, un ducato valuta corrente“. Le offerte con nobile slancio vennero versate ai Provveditori sopra Monastieri e in quel primo momento le povere monache furono alloggiate nei vari conventi della città, ricevute con gran simpatia dalle consorelle e confortate nel loro immenso dolore.
Due giorni dopo vennero tutte raccolte bel cortile del Palazzo Ducale, il doge stesso Francesco Molin scese a salutarle e regalò loro una borsa di velluto con duecento ducati annunciando che il Senato aveva messo a loro disposizione la chiesa e il convento dell’Isola di San Servolo, ridente isoletta tra San Lazzaro e San Giorgio Maggiore. Così le monache di Candia ebbero un convento proprio e un vasto orto che si dettero a coltivare esse stesse e nella calma delle lagune la vita ricominciò tranquilla non senza però qualche rimpianto per la grande isola lontana che avevano perduta.
Nel 1693 Lodovico Testi nel suo libro “La salubrità di Venezia” attesta che in quell’anno le monache di Candia erano ridotte e sessantuno, alcune fra gli anni ottanta e novanta e tre mesi prima ne erano morte due, una di centoquindici anni, l’altra di centocinque. Verso la fine del 1715 rimanevano ancora tre suore, ma dovendosi cedere l’isola di San Servolo ai Padri Ospitalieri, le monache vennero trasferite nel convento del Corpus Domini nella contrada di Santa Lucia.
L’ultima superstite delle monache di Candia morì a ottantasette anni, nel 1717, quando la bella isola di Candia era da quasi cinquant’anni possedimento turco. (1)
(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 10 agosto 1930
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